Tentunanni dopo, la solita gnola. Trentunanni dopo, il copione si ripete per l’ennesima volta, come un flash-back, come in quei film dove il protagonista si alza e non ricorda nulla, poi ripete i medesimi gesti della mattina prima, del giorno prima, degli anni prima.

Trentunanni dopo non si riesce a far dormire in pace 85 corpi ed anime che hanno perso la loro esistenza ed hanno lasciato un marea di cari nel modo più assurdo e tragico possibile, quello di una strage terroristica chissà di quale matrice politico-deliquenziale.

Quest’anno, come l’anno prima, come quello prima ancora, ecco in onda il solito infantile e puerile battibecco, non tanto sulle responsabilità o su quello che ancora non è stato fatto riguardo la strage più importante e terribile d’Italia ma, udite bene cari abitanti del Belpaese, su quale figurina di destra o di sinistra non ha presenziato il palco della commemorazione, o su che statuetta ministeriale mancava all’appello ed al richiamo di Piazza Maggiore.

E il ragionier Bersani che non perde l’occasione di chiedere le dimissioni dell’Esecutivo (siamo ad oltre 200 volte da inizio anno), causa mancata presenza di componenti del Governo; e Vendola che esprime sdegno lanciando il suo classico quanto incomprensibile epiteto poetico del Tavoliere; e addirittura il David Sassoli che se ne esce dalle tenebre dell’Europarlamento per prendersi pure lui una manciata di tiepidi applausi.

Poi il solito pedante carrozzone di dichiarazioni in orbita antiberlusconiana, che vogliono trasformare anche l’anniversario della Stazione in una delle tante quanto inutili manifestazioni contro il Silvio ed il suo Governo.

Sappiamo qual è stato negli ultimi anni il clima “bolognese” riservato ai rappresentanti del centro-destra che si sono susseguiti sul palco del 2 agosto; fischi, insulti, improperi, talvolta da farli desistere dal parlare o anche da non farli salire le scale per imboccare il microfono. Non è difesa governativa, tutt’altro, ma non si può nemmeno biasimare un esecutivo che decide di non inviare i suoi rappresentante alla mercè di una folla ostile, rischiando di contribuire a creare tensioni gravi quanto inutili e stupidamente fuori luogo.

Diciamo la verità, signori del palco del 2 agosto, chissenefrega se non arriva Sacconi o se Tremonti non passa per Bologna, chissenefotte se Di Pietro e Casini non ci parlano di morale, di rispetto, di valori, e bla bla bla; e menomale, dico io, che Niki Vendola ci risparmia i suoi dittonghi e la sua glottologia illuministica, che in soldoni ci dice meno di nulla.

E’ il giorno del ricordo, del pensiero, magari anche delle legittime lacrime di tanti bolognesi e non, che hanno perso un familiare, un parente, un amico. Penso che a tutti loro, squarciati nel dolore quanto lo è stata quella stazione ferroviaria, quel pezzo di città che, seppur ricostruito, rimarrà paralizzato alle 10.25 del due agosto millenovecentottanta, non freghi proprio nulla se un signore della maggioranza arriva o meno a raccontare le generiche banalità di sempre; non gli interessa che quel politico sia su o giù da quel palco; non gliene può fregà de meno se parla Errani piuttosto che Gianni Letta, Scilipoti piuttosto che Gianfranco Fini.

Quello a cui tutto il popolo del 2 agosto che “vive nel ricordo” interessa e frega davvero è la cosa più semplice e banale di questo pianeta, ma che in Italia diventa terribilmente dura da ottenere e raggiungere, tanto da rimanere ancora nel campo dell’utopia: la verità sui fatti, le responsabilità dei colpevoli, il rispetto della pena inflitta.

A distanza di oltre trent’anni, a cavallo di un millennio, dopo una successione infinita di congetture e di piste le più fantasiose ed inventate (vedi l’episodio del depistaggio organizzato in prima persona dal SISMI che fece mettere su un treno a Bologna una valigetta di esplosivo simile a quello della strage), dopo una serie di condanne passate in Cassazione ed oltre, dunque arcidefinitive, qual è il risultato che possiamo mostrare fieri alla volenterosa e stoica Associazioni dei familiari delle vittime del 2 agosto?

Giuseppe Valerio Fioravanti viene condannato con ben SEI sentenze della Corte d’Assise d’Appello, anche per altri 33 omicidi, furti, rapine ed atti terroristici ascritti al Suo gruppo neofascista (Nar), ad un totale di 8 ergastoli ed un totale di 134 anni ed 8 mesi di carcere definitivo da scontare. Risultato: ventisei anni di cella, con l’abbuono “di regola” di 3 mesi l’anno, dal ’99 regime di semilibertà per buona condotta, dove di giorno lavora in un’associazione all’esterno e non ha l’obbligo di “rincasare” neppure la notte; da aprile 2009, avendo brillantemente passato i 5 anni di prova previsti dal codice per la condizionale, il Fioravanti è a tutti gli effetti un uomo libero, e la sua pena estinta. Facciamo i conti allora: 26 anni meno un quarto, e sono una ventina, a cui togliamo altri 10 in cui l’unico obbligo era quello di non lasciare il comune in cui lavorava, e fanno dieci. DIECI ANNI sui 134 richiesti, anche se non solo per la strage di Bologna.

Francesca Mambro, divenuta moglie del Fioravanti (nell’87, in carcere) viene condannata a 26 anni con sentenza definitiva, è libera anch’essa. Luigi Ciavardini, la cui sentenza definitiva arriva nel recentissimo 2007, è semilibero dal marzo 2009, e se può tranquillamente uscire ogni santo giorno.

Questi i risultati, dopo 5 PROCESSI, non uno, non due, bensì cinque, lunghissimi e faticosissimi.

Seppure sulla figura ambigua del super-testimone che accusò Giusva e la Mambro si sono annidati parecchi dubbi e perplessità, seppure all’appello mancano ancora i mandanti e gli intermediari che avrebbero reclutato i tre giovani “soldati” della strage, seppure la matassa di inchieste si è via via sempre più aggrovigliate, seppure è stato detto, scritto e pensato tutto ed il contrario di niente, alla fine sono state espresse sentenze ed emesse condanne finali da Corti della Giustizia ufficiale italiana, e perciò devono (o meglio dovevano) essere rispettate.

Il Fioravanti e la Mambro non si fanno neppure vent’anni di gabbio in due, si sposano felicemente in carcere, e nel ’97 trovano pure il tempo per scrivere un film documentario che viene presentato al Festival di Venezia, in cui il duo può assistere liberamente alla proiezione con un buono premio di 10 giorni di permesso.

Questo il risultato di decenni di indagini, scartoffie, insabbiamenti e depistaggi, piste libiche e neofasciste, logge massoniche piuttosto che servizi segreti. Questo il risultato in un lasso di tempo più che sufficiente ad un essere umano per crescere, svilupparsi, lavorare e procreare altri suoi simili. E nel frattempo, in questo arco temporale,   le inchieste continuano, i fascicoli archiviati si riaprono e si chiudono d’improvviso, le prove sbiadiscono e, nella polvere generale, i condannati per davvero continuano tranquillamente ad uscire.

La macchina della giustizia e del Paese delle stragi impunite ha prodotto, per Bologna, questi orripilanti ed incommentabili risultati, in linea con la struttura ed il modo di pensare ed agire italiano, dove primo è non prenderle, poi si vedrà, una soluzione la troveremo, un colpevole anche; e se poi non ne siamo troppo sicuri, cerchiamo di aggiustare il tiro, addolcendo le pene, fino a farle diventare inconsistenti, irrisorie, ridicole.

Si è davvero fatta giustizia allora? Abbiamo avuto le risposte che volevamo? La verità è venuta a galla?

Di questo ci deve fregare, queste sono le uniche vere domande a cui  i nostri rappresentanti devono darci risposte. E ci devono dar conto del perché e del per come i colpevoli della maggiore strage italica sono oramai fuori da un pezzo e passeranno la metà e forse oltre della loro esistenza al di là della cella, dove invece per legge e per diritto avrebbero dovuto soggiornare per l’intera loro vita.

Forse questo è troppo per un Paese che pensa solo agli affari privati di Villa Certosa e ad andare nelle Piazze a protestare per qualsiasi cosa gli venga proposto.

Ma allora, almeno per un giorno all’anno, non tirateci fuori le solite polemiche da asilo infantile, non veniteci a fare la morale su destra e sinistra, non strumentalizzate il Due agosto 1980. Statevene piuttosto seduti nei vostri scranni di Camera e Senato, nel ricordo di quegli 85 italiani morti senza un motivo e senza un perché.

E uccisi ancora, per la seconda volta, quando Stato e Giustizia ne hanno liberato senza remore i loro assassini.

 

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