Partiamo dalla fine, come si usa fare nel pastone politico. E da un numero, 308, quello dei favorevoli del rendicondo approvato (e meno male), che certifica la fine del Silvio Quater. Ma non quella del premier, che chiederà l’approvazione della legge di stabilità “europea” intorno al 22 novembre (questi sono i tempi della politica di casa nostra) e poi salirà al Colle a presentare le dimissioni più attese della storia. Che darà, state tranquilli. Ma Re Silvio ha già ben in mente il proprio piano, che potrebbe riservare sorprese impensabili solo fino a ieri.Chiederà voto e responsabilità anche alle opposizioni, poi si accorderà con nonno Napolitano sul da farsi, scegliendo la sua prima opzione, quella di consultare e sondare il terreno in prima persona. Avvedendosi, dopo qualche giretto tra i banchi, che il suo appeal è sceso al di sotto dei suoi gommatissimi tacchi, deciderà ben presto di giocare la carta Alfano, il delfino che piace anche tra ex Dc e transfughi vari. L’idea è quella di allargare la maggioranza a tutto il vecchio popolo del Centro-Destra (Fini escluso) condito da responsabili, liberali, repubblicani e radicali.
E, se presenti, pure i monarchici. La carta Alfano (ben vista dalla Lega-Camusso) è sostituibile e riciclabile con quella del dottor Letta, badante del Berlusca nell’ultimo quinquennio e suo uomo-ovunque. Nel caso, assai probabile, non vi fossero neppure i numeri per un governo pro-Silvio, il premier passerà direttamente al piano B, quello delle elezioni senza se e senza ma. Ipotesi ben vista, oltre che dal Silvio-Umberto, anche dall’Italia dei Valori (su questo sempre coerente, ndr) che non vede l’ora di passare all’incasso e di mettere sotto torchio la banda Bersani. Il Pd, bell’enigma. Succede solo da nò altri, infatti, che il partito che tutti i sondaggi accreditati quotano come quello di maggioranza relativa, scelga come prima opzione il terrificante e abominevole Governo di Unità Nazionale (scandito alla Fantozzi).
Con la maggioranza agonizzante da oltre un anno ed un primo ministro ridotto al lumicino del bunga bunga, una vera opposizione che si rispetti (ma anche una poco più che ordinaria) non vedrebbe l’ora di azzannare il nemico politico e portarlo immediatamente nella piazza delle urne, per raccogliere tutto il massimo consentito, e finalmente poter governare.
Qui no, nel Bengodi le cose vanno alla rovescia, e la logica viene ribaltata dai paradigmi dell’assurdo. Qui da noi le uniche forze politiche che vogliono le elezioni sono quelle dimissionarie (altro assurdo, Monsier Lapalisse) mentre al di là di Arcore si cerca una figura tecnica dagli alti valori etici ed istituzionali, che possa traghettare questo cadavere di Italietta al di là della sponda di quell’Acheronte chiamato Spread. Traduzione: questa sinistra-centro non sa che pesce pigliare, e preferisce il tutor della Cepu piuttosto che presentarsi in queste condizioni. Pietose, ovviamente.
E basta con la favola che serve il governicchio di larghe intese (da Casini a Vendola?) per salvare l’emorragia di debito e differenziale Btp. Lo ha detto la stessa signora Europa ieri sera, con un proprio comunicato ufficiale, in cui Bruxelles si smarca ampiamente da questi teoremi, affermando che in Italia non è necessario per forza un esecutivo nazionale. Benedetto buonsenso UE.
Mettiamo che, per assurdo, alla finequesto mega-supergoverno poi si faccia per davvero. Oh, allora, ci mettiamo proprio tutti eh, parte del Pdl, tutta la Lega, molto Pd, Sel e Di Pietro, Udc e Rutelli, e pure quei quattro gatti randagi del Fli. Capo del Governo quel filibustiere che risponde al nome di Mario Monti. Poi tutti dentro il frullatore, dai nuovi comunisti-ecologisti alla pseudo destra del Signor Tulliani, dai cattolici ai bestemmiatori dipietristi, dagli uomini del Cav. fino a suoi più aspri detrattori. Si passa quindi in Parlamento, dove questo fritto misto avrebbe (a detta dei ben pensati) quei super poteri che gli permetterebbero di fare quelle riforme-schock mai atterrate nel pianeta Italia. Primo emendamento proposto: abolizione delle pensioni di anzianità ed innalzamento dell’età stessa. Lega e Sindacati si mettono di traverso, e così anche il Pd molla.
La riforma non passa. Si va dritti alla seconda proposta: abolizione di province e di ogni tipo di ordine professionale. Lega no, Terzo Polo scettico e mezzo parlamento, fatto di avvocati e medici, minaccia un mese di sciopero. Nulla da fare, non passa neppure questa. Via allora con il terzo e ultimo provvedimento crack: tagli alla Casta e dimezzamento delle Camere. Tutto ok fino alla presentazione, poi oltre duecento tra deputati e senatori si rendono conto che devono ancora maturare il vitalizio. Si decide così di ricalendarizzare la riforma a data da destinarsi. Questo è il quadro, se vi pare. Ed è per questo che l’Unione Europea non ci chiede un’ammucchiata di proporzioni siffrediane, bensì, molto più banalmente, un semplice e solido governo che abbia i numeri e le palle per fare quelle tre cose impopolari che servono. Senza proclami, con pragmatismo e zero filosofia. Perchè non siamo come la Grecia, anche se la banda di Tod’s & Emma ce lo vuol far credere, perchè non sono quei tre mesi di attesa-elezioni che ci butteranno nel baratro Default. Siamo soprattutto una risorsa, per l’Europa, e non conviene a nessuno mandarci a fondo. Poi le nostre obbligazioni sono sempre molto ben gradite.
Nell’attesa di apprestarci a vivere due settimane in piena bagarre politica, dove impazzerà il toto-premier, tra scenari immaginifici e trattative incessanti, vorrei consegnare ai poster il mio personalissimo podio sulle responsabilità di questa crisi oramai alle porte.
1° Gianfranco Fini (responsabile massimo): entra nel predellino solo per convenienza poi, dopo essersi incollato a Montecitorio, se ne fotte altamente di elettori e Pdl. Si fa cacciare perchè vuole lo scettro, ma ora gli toccherà di lustrare pure il pelo bianco di Casini. Patetico irresponsabile.
2° Lega Nord (sempre all’opposizione): il miraggio del federalismo offusca le menti, mentre Bossi logora il partito. No ad Air France, no a riforma del fisco, no alle pensioni. La CGIL trova nelle camice verdi il suo miglior alleato. Riformisti? No, restauratori medioevali.
3° Silvio (zero coraggio): gli unici atti di forza del Pres. sono nella cacciata di Fini e nelle due super-fiducie. Vittorie personali, nulla più. All’inizio era il Governo del Presidente, la mesta fine è targata Draghi-Scilipoti. Gli ex-An lo condannano, ma era prima che doveva agire, perchè i governi si costruiscono nei cento giorni iniziali. Mentre questo, prima gigioneggia, poi chiede l’elemosina. Troppe Minetti, poco Berlusca.
Nel giorno che abbatte forse per sempre il Cavaliere, consentiteci una speciale menzione per due simboli di questo nostro grande Circo Parlamentare. La sorellina Carlucci, che nello spazio di un weekend attraversa tutto il Transatlantico, accasandosi serenamente al fianco di Lorenzo Cesa (Udc), sfiduciando Silvio come nulla fosse. Ma soprattutto il mitico deputato pidiellino Gennaro Malgieri, che si assenta proprio nel momento in cui veniva chiamato a schiacciare il pulsante sul voto del Rendiconto dello Stato. Dov’era andato? Un’attimino in bagno. La vita è fatta di priorità.
Purtroppo abbiamo una sinistra che ha paura della propria ombra!
Buona analisi Sandro…
Raf detto Lele
era ora Lele
Mello va te, va te! Mello Prime Minister!
suona bene, ci penserò su, caro anonimo. nel caso ti offrirei una segreteria di gabinetto ministeriale