La ventinovesima del massimo campionato è giornata di pareggi (ben sei) e vittorie interne. Nessun blitz a domicilio, con 24 reti all’attivo ed una classifica pressochè immutata rispetto a lunedì scorso. O quasi. Perchè nell’arco di cinque minuti cambia la storia del terzo posto, con la solita scialba Lazio casalinga che vince di misura grazie all’inedito Diakitè, ed un Napoli che becca le abituali due pere della domenica da palla inattiva, al cospetto di un ottimo Catania in versione europea.
La banda-Montella è un mix esplosivo di tattica all’italiana condita da ottimi piedi. L’aeroplanino non ha inventato nulla, nè fatto esperimenti avveniristici alla catalana. Due centrali esperti e forti sulle palle alte, due esterni di corsa, mediani tutto cuore e cervello, ed un trio micidiale di palleggiatori a supporto del Lavandina Bergessio, il prototipo dell’attaccante moderno di una volta. Brutto, ruvido, e funzionale. La semplicità tattica applicata al sacrificio collettivo. E il sogno catanese può e deve continuare.
Il pomeriggio domenicale che si annunciava decisivo per la zona salvezza lascia invece ogni cosa al suo posto. Compresa l’angoscia di Parma, Genoa e Fiorentina, i cui pari non fanno che acuire l’incubo B. Donadoni regala un punto al moribondo Cesena, e la sua media punti è addirittura inferiore a quella di Colomba. A Marassi va in scena la partita scellerata: dominio viola quasi totale, ma due dormite colossali regalano al Grifo l’ennesimo pareggio strappato in zona Cesarini. Al fischio finale la gradinata Nord contesta e Marino rimane aggrappato alla graticola-Preziosi. Nel valzer-record delle panchine di A, il solo Cosmi ha portato un passo decisamente migliore rispetto al predecessore. Cellino ha richiamato Ficcadenti, Zamparini si vorrebbe evirare per l’esonero di Pioli, mentre a Cesena non vedono l’ora che si sventoli la bandiera a scacchi. Morale: presidenti, cacciate il grano, ma non vi addentrate in questioni tecniche. Perchè fate solo danni.
Il Lecce tiene a galla la lotta-salvezza, e il punto di Novara si deve considerare come guadagnato. Gli uomini di Tesser si svegliano tardi, e le residue speranze azzurre si spengono sul legno finale di Morimoto. Che grida ancora vendetta banzai.
Mentre Chievo e Siena si mettono avanti coi saldi di fine stagione, a Bergamo si respira un’aria storica. La Dea, senza il -6 iniziale, sarebbe appena dietro Luis Enrique, con lo scudetto atalantino lontano appena otto punti. Sboccia finalmente Gabbiadini, e la pratica Bologna è archiviata senza troppi patemi. Dalle parti delle Due Torri si teme l’ennesimo encefalogramma piatto di fine torneo, anche se Pioli si affretta a tranquillizzare Casteldebole. Chissà se il vice fashion Setti ostenterà ancora l’obbligo dei 50 punti…
Il derby d’Italia va alla Juve. La vendetta bianconera si consuma come neppure nei migliori sogni juventini. Il magnifico antipasto coerografico condito coi due scudetti revocati diventa apoteosi al gol dell’indio Caceres. E goduria totale alla rete di Pinturicchio. Alex entra e decide, mostrando i colpi del miglior repertorio. E’ giusto che a giugno se ne vada, ma la sua professionalità deve essere esempio planetario. Applausi.
L’Inter fa bene per un’ora, dove meriterebbe pure il vantaggio, ma poi si sgonfia del tutto nella ripresa. Sola l’irritante leziosità di Vucinic e la preoccupante astinenza di Quagliarella fanno sì che il passivo non assuma i contorni dell’umiliazione. Come avrebbe voluto tutto lo Juventus Stadium. Babbo Moratti, a Londra per godersi il trionfo dei baby nerazzurri nella fantomatica mini-Champions, già sta meditando l’ennesimo colpo di coda (e di testa). Avvistati alla Pinetina Orrico, Tardelli e Cuper. Con Luisito Suarez in preallarme.
I tre punti servono a Madama per mantenere il distacco dalla testa, ed ora Conte & co. sono nella situazione ideale. Pressione agli avversari, Champions praticamente in tasca, e la consapevolezza da qui alla fine di poter fare filotto. E quella voglia matta di sfruttare il minima disattenzione lasciata per strada dal Diavolo.
Il sabato di San Siro assume i contorni della vittoria di Pirro. Il Milan prende i tre punti grazie al solito immenso Lasagnone, ma lascia sul campo (e non solo) il bicipite femorale di Thiago Silva, che ne avrà per almeno un mese, o forse sino a fine corsa. L’assurdità della scelta di Allegri non trova giustificazione alcuna, anche se l’impeccabile società sta col tecnico, assecondando la causalità dell’evento. Ma così non è. Il forte brasileiro ha giocato il secondo supplementare di coppa Italia praticamente già in stampelle, utilizzato come spauracchio spaventapasseri. Era da pazzi conclamati schierarlo in campo dopo neppure quattro giorni da quella battaglia con ferita. Tant’è che neppure il riscaldamento pre-partita del Meazza aveva sciolto gli ultimi dubbi. Allegri lo ha voluto rischiare, perchè la priorità societaria rimane ed è il campionato, e l’obiettivo del futuro prossimo il raggiungimento della seconda stella.
I calciatori, si sa, hanno sempre voglia di giocare, figuriamoci poi quelli carioca. E così si forzano i tempi. Allegramente. Con quel colabrodo di MilanLab che neppure si esprime, onde evitare ulteriori danni irreparabili. Thiago dura appena dieci minuti, anche troppi considerando si presenti sul rettangolo col gesso ancora fresco. Ora salterà la doppia super sfida col Barça e, assai probabile, gran parte delle restanti di A. Proprio un bell’affare, Max Allegri, non c’è che dire.
Risulta quanto meno inspiegabile come un finora eccellente ed ineccepibile gestore abbia potuto commettere sì tanta madornale leggerezza, per di più nel momento vitale della stagione zerododici. Non potevano bastare un ritrovato Mexes, un ottimo Bonera ed un affidabile Zambrotta ad arginare le sparute folate di Totti & co.? Bastavano eccome, mister Allegri. E ora, se già con Thiago la sfida ai marziani era assai impari, senza il verdeoro il confronto diventa davvero improponibile. Per non contare poi l’inevitabile arci dispendio fisico-nervoso, con all’orizzonte un mese di campionato non certamente terribile, ma che può nascondere ad ogni remoto angolo l’insidia mortale della sconfitta. Per la speranza dei tentacoli capilliferi di Antonio Conte, pronti ad azionarsi al primo intoppo rossonero, sognando di raggiungere per primi la vetta più alta e la cima del trionfo finale.
Non spari cagate per favore! ma che cavolo ne sa lei di calcio? Ci faccia il piacere ed eviti di scrivere cosa senza senso…
Andrea da Mirandola.
M’llumini lei, caro Andrea. Sono tutto taccuino e penna.
dai nen sta chiet….pizon
Ueh te piasaria che perdessimo punti preziosi …. Alessandra la milanista