La serata bergamasca dell’orgoglioso riscatto padano non dipana del tutto la grovigliosa matassa leghista. Anzi. Davanti a una platea che arde di repulismo e che agita al vento il vessillo della ramazza epuratrice, ecco che il Bobo nazionale impugna immediatamente la forca gaudente del sole delle Alpi. Con l’aria sorniona e beffarda di chi sa di avere corpo e anima immacolati, Maroni tuona deciso e diretto, proponendo un’orazione in vero stile-ventennio.

Chiaro e sicuro, fermo e risoluto, categorico ed impegnativo per tutti, il colonnello padano indica al suo popolo che è arrivata l’ora delle decisioni irrevocabili. Pulizia, ordine e trasparenza. Ma soprattutto cacciate ed epurazioni senza soluzione di continuità. A partire da cicciobello Belsito, continuando col nepotismo bossiano, per finire col famigerato e deleterio cerchio magico. Il bounty killer del varesotto ne ha per tutti, a partire dal nemico pubblico numero uno, quella nera e voracissima Rosi, capace del gran rifiuto al Capo federale. Per lei Maroni ha già preparato un tristi ed efferati titoli di coda, con la piazza leghista che si aizza con ferocia e senza freni sul cadavere della terrona sindacalista, al grido di battaglia di “Chi non salta Rosi Mauro è“.

Bobo si mostra in tutta la sua concretezza e concisione, tanto che pare a tutti naturalissimo che da un momento all’altro vada ad esplicitare la sua netta volontà di salire sul trono del Carroccio. La gente lo acclama, il popolo lo invoca, le scope erette lo incitano. L’attesa spasmodica e secolare sembra esser giunta al capolino, con l’eterno Viminale che finalmente si appropria della gloria e dello scettro padano. Con merito, con volontà, e di gusto. Ma quando tutti i micro tasselli del complicato puzzle leghista si stanno per incastrare e congiungere all’unisono, ecco che d’incanto la mano divina ed immacolata del santo leghismo bossiano si posa sul capo spelacchiato di Bobo nostro. Macchè colpi di spugna, ma quale rinnovamento primordiale. Maroni crea suspance e distribuisce testosterone, ma poi confida di voler appoggiare Re Umberto di Padania nelle prossime imminenti elezioni alla segreteria. Ma va?! Daveèro? Embè, tanto tuono’ che non piovve. E il solito ritornello ingrigito che scalda i cuori verdi: lunga vita al Senatùr. E Rosy Mauro al rogo.

La strategia maroniana assume diverse sfaccettature, con contorni sempre più indecifrabili ed appassionanti. Si tratta dalla classica sudditanza e timore reverenziale verso il boss che ha sempre frenato ogni tipo di scalata leghista, oppure Bobo & co. vogliono semplicemente lasciare ai bossiani la patata bollente della ricandidatura del capo. O ancora – ipotesi questa più suggestiva che realista – esiste già un accordo di massima nella Lega su Maroni leader, e le parole dell’ex ministro sono state solamente un colpo di teatro per permettere all’Umberto di uscire di scena ancor più alla grande, lasciando strada all’amico e divenendo una sorta di padre nobile della Lega. Bah, difficile da dirsi, tanto più da farsi. Le quote sono assolutamente aperte ad ogni soluzione, e i bookmakers non a hanno ancora dato alcun riferimento. 

La questione leghista è sempre la stessa: il distacco dal cordone ombelicale del culto personale del proprio Caro leader. Chi tocca(va) Bossi muore, semplice e papale papale. Ma la storia di oggi non è più la stessa, perchè la Lega non è più la stessa, ed il big bang che ha travolto via Bellerio consiglia come non mai un cambio rapido e radicale. Che la leninista struttura del Carroccio ha sempre accantonato e rimandato, ma che ora bussa alla porta come una vera e propria conversione sulla via di Damasco. Maroni ha l’appoggio dei tre quarti della militanza, oltre che degli “indecisi” del Nord che attendono orientamenti dalla bagarre padana. Bossi ha però quello di numerosi quadri e dirigenti votanti, ed il suo accantonamento è tutt’altro che scontato. Calderoli, Speroni, Cota ed altri fedelissimi hanno già annunciato il voto all’Umberto, un po’ perchè nostalgici, un po’ perchè l’eventuale nuovo corso li renderebbe molto meno influenti. Ora, il punto è capire se leader maximo, che sul palco di Berghèm è apparso piuttosto tonico ed rinvigorito, voglia davvero rimanere in sella al cavallo verde. Fisico e carta d’identità direbbero che è il momento di chiudere, prendendo pure una sopravvalutata liquidazione morale. Ma la caprona caparbietà del padrone, mista all’appoggio incondizionato della comunità leghista, potrebbero far propendere la bilancia ancora dalla sua parte. Anche perchè è difficile immaginarsi Bossi fare l’avvallatore ed il firmatario delle regole decise e stabilite proprio da chi lo ha voluto pre-pensionare.

Se il Capo non si candida, Maroni sarà segretario con unanimità bulgara, e il partito potrà risorgere in fretta. Ma con l’Umberto in campo, la partita sarà molto più complessa ed assai imbarazzante, perchè non è da escludere che i fedeli di Bobo (Salvini, Borghezio, Tosi ed altri) esprimano comunque la loro preferenza per mister Interni. In soldoni, i maroniani hanno già in mano il partito, ma se il Re non cede al proprio orgoglio e rimane al vertice, si aprirà una nuova stagione di forti dissapori ed insostenibili compromessi interni che non potrà che sfociare nella scissione. Che vorrebbe dire – questa volta per davvero – la fine del sogno leghista. E di un popolo, che invece ha ancora tanta voglia di lottare e far sentire il proprio grido di malcontento.

Capitolo “La nera”. E’ notizia freschissima che il consiglio federale ha proceduto unanime con l’espulsione, oltre che per il massiccio tesoriere, anche della badante Rosy Mauro. Se nei riguardi di Belsito la decisione non fa una grinza, appare invece assai più ingiusta quella nei confronti della leccese dallo spiccato accento piemontese, che ha rifiutato legittimamente per la seconda volta di abbandonare la poltrona della vicepresidenza del Senato. Diciamo le cose come stanno: la sindacalista padana, che non è indagata e le cui intercettazioni ad oggi paiono essere ben poca cosa, paga soprattutto l’imperdonabile colpa di essere stata la reggente unica del Cerchio Magico bossiano. L’esser stata al capezzale del capo comprando casa a Gemonio, l’aver gestito il fantomatico SIN.PA., e aver creato attorno a Bossi una vera cortina di ferro, non potevano essere certo una novità all’interno del seppur variegato mondo leghista. La sua cacciata è stata certamente voluta da Maroni e i suoi, ma suona quanto meno ipocrita e contraddittoria, perchè viene presa come panacea di ogni male padano, e perchè non fa altro che confermare – da un lato – la spaccatura che sta crepando il Carroccio e – dall’altro – la tesi di circonvenzione d’incapace ai danni del boss. La testa della Mauro, data in pasto al popolo vorace ed affamato di repulisti, potrà dare sollievo e placare gli animi nel breve, ma non risolverà certamente tutte le magagne padane. Anche perchè, se cacci “la nera”, dovresti cacciare pure il badante rozzo Calderoli, e con lui Reguzzoni e tutta la compagnia cantante familiare, a partire da quel trota di Renzo. Però a quel punto, a che serve un Re nudo senza l’armatura, la spada e il  suo immancabile e magico cerchio? A nulla. E allora, se fossi coerente, dovresti cacciare pure il capo. Ma lui, si sa, non si tocca, perchè al massimo può essere vittima, o diventare martire. Del centralismo romano e di quel complotto tutto made in Italy che ha architettato – a sua insaputa – la ristrutturazione  del terrazzo di casa, il finanziamento della scuola della moglie, l’acquisto di tre auto ai pargoli, e pure il pagamento di mezzo miliardo del vecchio conio agli undici ragazzi della scorta del Trota. Neanche fossero stati la Nazionale padana…

Lunga vita al Senatùr. E al rogo Rosy Mauro.

 

 

 
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