Bonucci, Pepe, Di Vaio ed il Grosseto salvi. Conte ed il “suo” Lecce retrocessi. La Corte di giustizia federale romana conferma quasi in toto le sentenze di primo grado della Disciplinare. Di Vaio rimane a piede libero, mentre Portanova dovrà cedere la fascia di capitano rossoblù quanto meno per sei mesi.

I faldoni di Bari e Cremona incoronano i due grandi arci accusatori (Masiello e Carobbio), ritenuti attendibili perchè dispensatori di prove inconfutabili (per la Corte) perchè impossibili da confutare. Mentre lo sconfitto pubblico numero uno è il Bell’Antonio da Lecce, che rimarrà senza panca per quasi un’intera stagione, con la possibilità (remotissima, ndr) che la Signora decida di appiedarlo definitivamente. Anche se alle porte, oltre alla stagione 2013 che si appresta a nascere azzoppata sotto i soliti malefici auspici, c’è sempre il possibile salvagente del ricorso al Tnas (Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport) cui il mister cappellone e la Juve tutta si stanno apprestando ad appellarsi. In quello che è il solito stomachevole pacco e contropaccotto messo in mostra dalla magistratura sportiva italica. Che è la vera sconfitta dell’estate pallonara duemiladodici. Perchè con essa muore lo sport. E la giustizia tutta. Almeno quella vera.

Perchè il procedimento sportivo del Belpaese prevede che tutto (ed il suo contrario) sia deciso entro e non oltre il  kick off dei campionati. Ma se poi la decisione arriva tre minuti prima dell’inizio delle gare, chissenefrega. Così il Grosseto si accorge di poter disputare la cadetteria ad appena un paio di giorni dai blocchi di partenza dell’infinita maratona della serie B. E così il Vicenza si appresta a ritornarci da ripescata, dopo aver ragionato da Lega Pro per tutta la calura estiva. Così, a scapito di mercato, squadre e supporters, la gioiosa macchina sputa-sentenze della giustizia (poco)sportiva continua imperterrita la sua lotta spietata e famelica contro illeciti, omesse denunzie ed altri reati che orbitano nel variegato pianeta delle combine futbollistiche. 

Legittimamente, salvificamente a volte, s’intende. Ma attraverso l’utilizzo altrettanto legittimo – quanto anti giuridico – di leggi e principi che sono in totale ed assoluta antitesi con l’ordinamento penale della democraticissima Repubblica delle Banane. La bizzarra ed astrusa giustizia sportiva tricolore si fonda infatti sull’assurdo e macchiavellico onere per il quale la prova di innocenza è completamente ed isolatamente ad appannaggio dell’imputato. Che, se non bastasse, oltre ad essere mazziato, diviene pure cornuto. Infatti, oltre al danno si aggiunge pure la cocente beffa per cui alla propria Difesa è interamente impedito di poter controinterrogare qualsivoglia testimone, sia esso un’intera squadra di futbòl professionistico o semplicemente un umilissimo magazziniere, che potrebbe però divenire tassello assai utile nel fornire elementi preziosi per la risoluzione dell’intricato puzzle dibattimentale. Tutto il processo (ed il suo contrario) verte e si fonda univocamente solo sulle parole dei testimoni “pentiti” dell’Accusa, che così la fa da egemonico padre padrone, sia nel bello che nel cattivo tempo, sia nella sorte che nella malattia. Al tesserato accusato delle peggiori nefandezze extra sportive non resta che affidarsi a quella buonanima del procuratore federale. Il che significa che è meglio, per l’imputato, iniziare subito a scontare una pena già da tempo ampiamente scritta. Perchè se ti viene tolto pure il sacrosanto diritto inalienabile alla difesa in nome di quell’assurdo principio basato esclusivamente sulla scrittura e battitura dei calendari, beh allora, signori della corte, forse è arrivata l’ora di smetterla di continuare a chiamarla giustizia sportiva. Perchè una giustizia che lascia sulle sole spalle del tesserato ogni responsabilità di ricerca di prove che dimostrino la propria eventuale innocenza, non puo’ che essere considerata nulla più e niente meno che una giustizia talebana.

Perchè, come lo chiamereste altrimenti un procedimento che di fatto impedisce alla Difesa di potersi difendere? Od una serie di fondamenti che sono in diametrale disaccordo con il sacrosanto ed universalmente riconosciuto diritto penale, dove è logicamente l’accusa che è tenuta a dover provare la colpevolezza dell’imputato? Nulla più e niente meno che una giustizia talebana. Che è contro il diritto, contro lo Stato, e contro lo stesso principio di giustizia. Perchè anche al peggior criminale terrestre deve esser concessa la possibilità concreta di difendersi. E non solo la gentile e vigliacca scappatoia del patteggiamento. Che è e rimane un super classico all’italiana. Da non andarne fieri.

Badate bene, signori ermellini della corte, nessuno qui sta facendo le veci e la voce dell’apologia al crimine ed  all’impunità più vile e becera. Anzi, al contrario, si sta solamente chiedendo che una branca della società civile e/o professionistica come il più o meno dorato mondo sportivo, si possa confare ed organizzare quanto prima con il ben più equanime, imparziale e giusto universo che fa riferimento alla magistratura ordinaria. Che, seppur vituperato tanto a destra come a manca, garantisce ancora e per sempre l’inviolabile ed aureo diritto alla Difesa. Perchè i buoni Masiello e Carobbio possono anche essere i pentiti più autentici ed attendibili di tutto il sistema solare. Ma se avessimo applicato da sempre i soli assiomi della giustizia sportiva, beh molto probabilmente le testimonianze degli assassini Pandico, Melluso e Barra non sarebbero mai state messe in discussione, e l’innocente Enzo Tortora avrebbe continuato a consumarsi e a marcire in carcere fino alla fine dei suoi giorni.
 
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