E’ appena intervenuto penosamente a casa Santoro chiedendo ridicolmente e al più presto un faccia a faccia avec Travaglio perchè sentitosi diffamato e defraudato della propria dignità a due metri dal traguardo (come se domani lo dovessimo eleggere no’ altri). Facendo capire a chiare lettere e a tutto l’Emiciclo di essere in assoluta pole-position nella corsa al premierato italico. Il secondo di fila – per altro – che se ne fotterà altamente del giudizio universal-popolare.
E’ lui, sempre più lui, super Pietro Grasso (detto Piero). Che, a pochi istanti dall’elezione a seconda carica dello Stato, e a pochi secondi dal dimezzamento di scorta e stipendio (qui applausi!), diventa l’assoluto ed indiscusso protagonista nella lista (assai esigua) dei premierabili by Napolitano.
L’ex pm antimafia osannato da destra e candidato a sinistra è l’unico che – a poche ore dal fatidico venerdì del Quirinale – può raggranellare quella maggioranza sufficientemente ampia per far decollare un governicchio di mezzo, uno o al massimo due anni. Grasso in appena una settimana ha sbaragliato ogni altro outsider verso Palazzo Chigi. Anche se le nomination presenti – occorre sottolinearlo – erano parecchio flebili e troppo tecniche per “esplorare” buona parte del primo Parlamento della III Repubblica (nel senso tripolare, s’intende).
Sul povero accattone Bersani neppure occorre più infierire. Da un mese sbava addosso ai maroni di Grillo pigliandosi solo randellate e cagate microbiotiche. Anche se forse almeno oggi ha capito che doveva magari visitare altri lidi che non fossero quelli di Genova. Poco male, lo farà Napolitano al posto suo, così almeno la sua ansiogena e masochistica strategia donchisciottesca può volgere finalmente al capolinea di Bettola.
Grillo vuol vedere solo cadaveri di prima e seconda Repubblica, ma la sua banda di cittadini sta seminando che è un piacere gaffes e piccoli grandi tradimenti. Su tutti ovviamente l’ormai mitologico Vito Crimi, capogruppo e portavoce al Senato dei five stars. Crimi nell’arco di una settimana è riuscito a dichiarare che “la nostra preparazione (quella dei grillini, ndr) è molto meno di quella che si pensa” spacciandola come un auto elogio, cercando poi di stupire con l’odierno commento a (poco)effetto nell’incontro con Nonno Napolitano (“Grillo lo ha tenuto sveglio”), e alla fine sbottando a Radio Luiss ammettendo candidamente che “i giornalisti mi stanno sul cazzo”. Se Dagospia preferisce Capezzone, noi ci possiamo pure accontentare del buon vecchio puttaniere Silvio Sircana.
E il Berlusca? Silvio nostro è quello più pacioso e (fintamente) responsabile. L’Occhio di Arcore sa’ bene che la banda delle Amazzoni è giunta all’ultima chiamata e che il mono-partito Pdl ha già ampiamente dato nell’ultima turnata di febbraio. Renzi è alle porte e, se si andasse al voto a giugno o ad ottobre, a Brunetta e soci non rimarrebbe che nascondersi tra Villa Certosa e Antigua. E questo Silvio lo sa bene, da gran volpone elettorale qual è, così cerca di percorrere l’unica strada per rimanere in Parlamento il più a lungo possibile. E il più a lungo lontano da Strega Boccassini. Il Governissimo, e cosa senò. Apparendo alla grande massa come l’unico che per davvero tiene alla governabilità del Paese, senza se e col giusto compromesso. Sarà pure mezzo ciecato, ma Silvio nostro dimostra sempre di vederci assai più del giaguaro.
Il resto della ciurma dei possibili capi di governo non è propriamente variegata. Full Monti, delirante in campagna e trombato alle elezioni, è ineleggibile – oltre che per l’inconsistenza politica di Lista Civica – soprattutto perchè per i tre quarti del Parlamento è un po’ come la peste bubbonica. Anche se, attenzione, nel caso di un nulla del nulla di fatto ecco che potrebbe rimanere in piedi per traghettare Caronte fino a giugno.
Poi c’è l’ex garante Stefanone Rodotà, dai più insignito nel dopo elezioni, ma oggi francamente con poche chances. Troppo istituzionale, troppo garante, troppo vecchio (80). E visto non troppo di buon occhio tra i banchi del centro-destra. Difficile anche l’incarico al direttore generale di Banchitalia Fabrizio Saccomanni, economista di primo pelo ma fotocopia sbiadita dell’ex Monti, apparentato suo malgrado da quell’attuale odiatissima predisposizione bancaria ed europeista. L’ultimo petalo è quello dell’ex commissario e ministro degli Interni Anna Maria “Mamma Fratelli” Cancellieri, sergente e funzionario impareggiabile. Che, seppure le venga riconosciuta universalmente una verve lavorativa bipartisan, ha ancora un legame troppo indelebile con la banda dei tecnici. Tra gli “istituzionali” è comunque quella con più carte spendibili. Anche se, però, la domanda nasce spontanea: Perchè poi bisognerebbe votare lei avendo già Monti Mario? E la risposta pure: Bah.
E’ chiaro quindi che la vera candidatura che pare sgorgare un minimo cristallina sia quella di Pietro Piero Grasso. Sostenuta senz’altro dal Pd (anche se con quella “faina” del Pier tutto è possibile). Non invisa al Pdl, che vedrebbe la possibilità – fino a due mesi fa remotissima – di continuare a decidere per il Paese. Accettata di corsa dal Proffe e dall’amico-sciagura Casini. E, che che se ne dica, ben vista pure dalla maggioranza dei grillini, che già lo hanno votato e che ora lo vedono come la vera panacea dei loro mali mediatici.
Ora parola, appunti e numeri all’inarrivabile Nonno Morfeo Re Giorgio Napolitano, che dovrà cavare, sbucciare e bollire quest’ennesima patata italica bollente. E se sarà (come sarà) Grasso, che possa almeno colare fino a Natale. Travaglio permettendo.