Todo cambia. Perchè nulla cambi. E’ andata così. Come sempre capita nelle giornate clou della politica italica. Il Cavaliere rimane, perdendo faccia e forse parte o tutti dei 25 dissertori capitanati dal delfino Alfano, per una volta vincitore con quid e attributi. Anche se il trionfatore del giorno è certamente quel gattone democristiano di Enrico Letta. Quatto quatto, zitto zitto, il “nipote” si guadagna la fiducia più ampia mai sperata. Godendo del dietro-front (al cubo) del Cav e gongolando pure con i compagnoni più renziani di partito che già erano pronti a sollevarlo dallo scranno rosso. Ma poi, però, se ci pensiam bene, alla fin dei conti vince anche lui, quell’immortale del Caimano de nò altri.
Nel giro di una manciata d’ore il Berlusca riesce a cambiar versione almeno quattro volte. Nulla di sconvolgente, per carità, Silvio nostro ha sicuramente fatto di meglio. “Letta e Napolitano irresponsabili”, poi un più caustico “Non cedo neanche se mi ammazzano”, fino al classico e protocollare “Niente e fiducia a Letta”. Chiudendo con il più folle e spiazzante dei coup de teatre cui ci ha abituato da un ventennio. Berlusconi vota una fiducia con un mal di stomaco che manco l’inventore del Malox. Soffre, scalpita, e forse piange anche. Ma alla conta deve arrendersi, e questo senza dubbio è il golpe più pesante da incassare.
E’ la prima volta dalla discesa che cede ad una richiesta dei suoi subalterni. E soprattutto al cospetto di colui (l’Angelino) che aveva sempre trattato con sufficienza degna del peggior porta borracce di Arcore. La ferita è certamente forte, grossa, lacerante. E forse neppure rimarginabile. Ma nell’imbuto del frenetico e farneticante conteggio del Senato, a quel punto era l’unica vera strada percorribile. Se si voleva continuare a rimanere in sella, cercando di ricomporre un puzzle ormai difficilmente a lui riconducibile.
Berlusconi si arrende, sì. Ma non cade. E limita ampiamente i danni. Il gruppo dei fuoriusciti con ogni probabilità non si farà più, e ora c’è tempo (almeno un anno) per rinsaldare un partito-polveriera. Magari desistendo ed abortendo a quel Forza Italia aridaje che tanto piace ai falchi e ai brunetti. Anche se sarebbe un’ulteriore sconfitta verso le colombe “traditrici”. Che prima dovranno passare all’incasso, quindi alla presa del fortino pidiellino. Ovviamente dopo i soliti ed ipocriti circostanziali sorrisoni tirati e dichiarazioni ridicolo-distensive del tipo “Silvio ha fatto un gesto responsabile, ci ha ascoltati, ed è tornato il nostro unico grande vero leader”.
Il bello – e l’orrido per il Cav – verrà ora. E sarà vedere sin dalle prime sedute e votazioni come si riuscirà a gestire Brunetta col Cicchitto, Gasparri con Lupi, Giovanardi con la Santanchè. La lotta intestina è solo all’inizio, e già si preannuncia esilarante e senza esclusione di colpi. Anche se poi non è per nulla detto che, dopo una manciata di scaramucce tra Floris-Travaglio e Telese, alla fine non prevalga ancora il buon senso della real–cadrega. E tutti – falchi, colombe, alfani e pitonesse – se ne ritorneranno allegramente e appassionatamente a zompare in spalla a quell’inossidabile e invincibile di Re Silvio. Per un nuovo grande miracolo ottuagenario.
Anche se la voglia di fottere il capo despota e di ri-fondare finalmente il sogno depresso e represso da un trentennio, quello cioè di una grande e trepidante maggioranza silenziosissima, è ormai alle porte dell’Emiciclo. Il ritorno all’amata e mai dimenticata Balena Bianca, quella DC 2.0 che metterebbe d’accordo mezzo Pd e Pdl, Casini e Monti, Razzi e Scilipoti. E magari con in testa sor Matteo Renzi, che tra le grinfie di Bindi-Finocchiaro e D’Alema rischia seriamente di finire come l’infinita promessa made in Godot. Seppur a queste condizioni di rimpasto da dissidio, il Sindaco potrebbe avere terreno assai fertile. Non ha più in mano l’incandescente cerino della responsabilità piddì, e può giocare di rimessa sull’esecutivo in qualsiasi momento del match. Facendo saltare il banco, per prendersi elezioni e Palazzo Chigi. Ma ora e adesso non è più il momento del chiodo di Fonzie. Servono le palle.