Se n’è andata un’altra campagna elettorale. La solita campagna elettorale da oltre un ventennio. Insulti, minacce, voli pindarici, sbraiti, promesse celestiali, ricchi premi e cotillon. I tecnici benpensanti l’hanno aborrata, a me pare sia stato più o meno lo stesso canovaccio di noiosissimo fumo da propaganda politica. Fatta eccezione per il vero trionfatore di questo scorcio comunicativo europeo: il metamorfizzato Bruno selfie Vespa. Il sacrestano di Viale Mazzini, sempre appecorato al governo e ai poteri forti di turno, è stata l’incredibile e piacevolissima sorpresa degli ammuffiti talk fece to face del panorama televisivo italico. Il martellamento sull’inconsistenza delle proposte di Grillo, il pressing (non ferocissimo, vero) sulle promesse del premier, e persino la spietata e incessante critica sardonica nei confronti dei resti dell’ex vate Silvio, hanno fatto del Bruno nazionale l’emozione più inaspettata ed irriverente di un protocollo elettorale ingessato da anni.

Il venerdì prima del riposo si conclude esattamente come alle ultime politiche. E come quel giorno Grillo straripa, e stravince. I Cinque Stelle si prendono ed espugnano nuovamente Piazza San Giovanni, facendo ancora il tutto esaurito. Sul palco arriva anche Robocop Casaleggio, provatissimo ma determinante per la coesione del popolo pentastellato. E’ la ciliegina che consegnerà lo scettro europeo al movimento delle stampanti 3D. Poco più su, nella sua Firenze, Renzi conclude davanti ad una folla nettamente inferiore, e assai meno eccitata. Arriva anche qualche sporadica contestazione. Poca roba, ma comunque un segno che certifica la paura fottuta del più che probabilissimo sorpasso. Intanto, più su al Nord, nella mite Milano, chiude anche Berlusconi. O almeno quello che ne è rimasto dello straordinario lottatore ammirato appena un anno fa da Santoro. L’ambient è quello chiuso e plastico del classico mino-convegno della rinascente Forza Italia. Con le solite tantissime bandiere forziste che fanno da contorno e lenzuolo bianco al definitivo tramonto del sogno berlusconiano. Mentre Grillo ne porta in piazza mezzo milione, Silvio fatica a raccimolare i suoi dentro un piccolo cinema di casa sua.

Sarà un testa a testa, un derby, una lotta fino all’ultima ics tra i due contendenti più accreditati. Come da pronostico, sarà finale Grillo-Renzi. Anche se i due arrivano all’appuntamento Champions con percorsi e stati d’animo ben differenti. Quasi agli antipodi. Il comico genovese ha fatto il suo, come sempre. Sbraitando, sfottendo, rilanciando, e mostrando la solita inaudita forza fisica dell’animale da palcoscenico. Ha sbracato ogni piazza, con l’immancabile sold out, ed è riuscito pure a prendersi la tanto vituperata tivvù pubblica, e il tanto denigrato talk show all’italiana. Alla faccia delle vecchie regole scolpite sul blog e degli espulsi beccati dalla D’Urso e da Giletti. Beppe arriva carico a pallettoni – ben oltre Hitler – con le mille contraddizioni di un Movimento che non avrà la benche’ minima proposta, che non saprà che fare e dove sbattere i pugni in quel di Bruxelles, ma che atterra all’appuntamento domenicale con la consapevolezza strafottente di aver già vinto. Perchè gli altri o son cadaveri o son già nelle mani di Caronte. E perchè il nuovo si è già impantanato nella palude e nelle promesse affumicate.

Il nuovo è Renzi, che pare già (palazzo)vecchio. Il premier non ha fatto male, ma non è più certamente quello che faceva pulsare i cuori e che rappresentava una speranza concreta e liberale per una vera e costruttiva rinascita del Belpaese. I comizi li ha fatti, le piazze le ha più o meno riempite, ma non mostrato la verve popolana e concretissima dei tempi delle primarie. Quella dei confronti con Bersani, per intenderci. Ora, Matteo non sta scendendo ai livelli del giaguaro di Piacenza, ma sicuramente non trasmette più come ai primordi. Troppa cultura, troppi moralismi sui posti di lavoro, troppi sogni e fuochi fatui, oltre a quel dannato leitmotiv del “futuro per i nostri figli”, che vuol dir tutto, ma soprattutto nulla. Forse la strategia di star alla larga dai grandi temi economici e reali è stata forzata ed obbligata. Da un trimestre governativo che ha molto più annunciato che attuato. E la testimonianza più emblematica è data dalla presentazione di ieri del “bilancio dei primi 80 giorni” dell’esecutivo. Una mossa prettamente ed esclusivamente elettorale, anche perchè, oltre alle solite slides futuribili, non ha aggiunto nulla di tangibile e decretato a quanto fatto prima di immolarsi nella campagna europea. E l’assenza del principale ministro della coalizione (Alfano, ndr) ne è la controprova più lampante.

Il premier Matteo si porta dietro l’insormontabile zavorra di una serie di date-promesse mantenute assai molto parzialmente. Oltre al peccato originale di aver levato lo scranno al compagno Enrico senza manco esser passato dal Via della legittimazione elettorale. Assieme ad un non indifferente carico di menzogne che poi si son tramutate in Governo, ministri e potere. E ciò non è irrilevante. Anche perchè l’impietoso saldo tra proclami e fare è assolutamente negativo, seppur la quasi totalità dell’opinione pubblica continui a strizzar l’occhio all’inquilino di Palazzo Chigi. Al di là dell’obolo degli 80 euri – molto virtuali perchè decurtati delle mancate agevolazioni familiari e dal pasticcio Tasi – il resto degli annunci di Don Matteo è andato quasi tutto a farsi benedire. La riforma del Senato è un obbrobrio cervellotico che mai passerà, e la legge elettorale una chimera che si affosserà definitivamente da lunedì con il crollo di Forza Italia, che non avrà più alcun interesse ad alcun ballottaggio. Non si voterà più per le Province, ma le Province rimangono e lottano ancora assieme a noi. Il Job Act è rimasto al punto della spelling, di crediti e sgravi fiscali alle PMI manco l’ombrello, e anche il Piano-Scuola latita parecchio: dei 3,5 miliardi promessi ne sono arrivati la bellezza di 0.2, scarsi. Per non parlare del progetto “Una casa per tutti” e dell’abbassamento dell’Irap del 10% per le imprese, nati morti causa campagna elettorale. E addirittura l’asta delle 100 Auto Blu via E-Bay è andata semi deserta…

Tutte le promesse di Renzi ne “La Svolta Buona”

Per il resto si gioca per i posti di rincalzo, con Berlusconi che proverà l’ennesima remuntada miracolosa. Che però sta volta non arriverà. Perchè il partito non esiste, e perchè l’ex Cav. non ce la fa’ più. Da mò. Le quotidiane ospitate televisive ci hanno mostrato un Silvio stanco, vecchio, noioso e biascicante. Che lascia sul tavolo il solletico-nazista fatto a Grillo e quel colpo personale bassissimo sull’incidente mortale che il comico ha già scontato da tempo. Neppure cerone e foglio sventolante alla mano ne hanno potuto eludere e camuffare la triste pena del suo faticosissimo incedere elettorale. Un’agonia continua, un delitto solo presentarsi davanti alle telecamere in tali condizioni di assoluta leggera tenerezza. Si arriva ad un punto dell’esistenza dove ogni anno trascorre al peso di dieci. Quello è il momento in cui fisico, cuore e testa non riescono più a trasmettere come un tempo. Quello è il tempo della pensione. E dei giardinetti. Magari in compagnia delle arzille e smemorate vecchiette di Cesano Boscone.

Fuori dal podio ci sono gli outsider, quelli che cercheranno di strappare il lasciapassare del 4%. Tra questi c’è la Lega di Matteo Salvini, vero grande vincitore – oltre Grillo – di questa campagna. Il barbuto ragazzotto lumbard non ha sbagliato nulla. Dalla strategia simbolica del “No Euro” alla chiarezza comunicativa sull’esigenza e necessità di uscire da questa Europa e di respingere ogni immigrato clandestino. Al di là di contenuti e teorie semi-padane, il giovane comandante del Nord ha mostrato intraprendenza, audacia, coraggio e pure un’enorme dose di autocontrollo ironico. Come quando non ha esitato a mangiarsi la banana offerta un po’ forzatamente dalla Kyenge, contraccambiando poi col regalo del libro della Fallaci. Salvini è riuscito ad ottimizzare e mixare al meglio una superba gestione del mezzo televisivo con la tradizionale battaglia leghista di strada. Spingendosi pure al Sud dove, oltre a qualche contestazione “infuocata”, ha pure strappato applausi ed apprezzamenti. Iniziando di fatto quel processo di nazionalizzazione della Lega che il Muppet-Maroni aveva solo proclamato. E poi, con Borghezio candidato al Centro, nulla è impossibile…

 
Di seguito i nostri personalissimi e appassionatissimi exit-pool elettoral-europei:
 
– Grillo 31%
– Renzi 29
– Berlusconi 16
– Salvini 6,5
– Alfano 6
– Meloni 3,5
– Tsipras 2
– Scelta Europea 1,5
– Altri 5
 
 
WhatsApp chat