Sarà la finale più attesa. Più scontata. Più bella. Sarà Brasile-Argentina. Perchè alla fine, nel calcio, nello sport come nella vita di ogni giorno, passa e trionfa chi lo vuole di più, vince solo chi ha più fame. E in questo momento storico sono loro ad averne di più. Brasile e Argentina. I verdeoro più tecnicamente brocchi della storia, e l’Albiceleste che finalmente, dopo oltre un ventennio, ha ri-trovato il suo vate, la sua guida, oltre a quell’essenziale “palo de Dios” marchiato Francesco da Rosario.
Sembra già tutto scritto. E forse lo era davvero, fin dal principio. La traversa della historia del sardo Pinilla, e poi le manone dell’esautorato piangente Julio che tornano a far miracoli come ai tempi di Mou. Quell’altro legno folle e anti-fisico colpito dal napoletano Dzemaili, che manco in un film di Hitchcock coadiuvato da Tarantino. E quella aficiòn da brividi che vuole fortissimamente e visceralmente l’impresa. Una per la sesta Coppa, ma che trema e teme il ripetersi della tragedia del Maracanazo, l’altra che va avanti a forza di tormentone virale anti-Brasil, con quella passione e tenacia di chi non ha nulla da perdere, ma che ora sa che può perdere tutto.
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Entrambe arrivano in semifinale dopo un percorso assai speculare, lottando, soffrendo e giocando non certo il calcio totale. Tutte e due trascinate dal loro diamante, che ha segnato e fatto segnare. Tutte e due mostrando una tenuta tattica e difensiva assai europea e italiana (almeno a livello di tradizione). Ed entrambe con assenze importanti, vitali. Soprattutto gli uomini della volpe Felipao, che dovranno fare a meno dell fenomeno Neymar e del capitanazo leader Thiago Silva. All’Argentina invece mancherà l’angelo Di Maria, determinante per le ripartenze dell’undici del triste Sabella, e fondamentale per liberare le magie della lenta ma inesorabile Pulga. Ma non saranno le assenze a far la differenza. Sarà la fame. E la voglia di ganar. Che Brasile ed Argentina hanno di gran lunga più di crucchi e olandesi, sulla carta più tecnici, più agili, e più favoriti (soprattutto i primi), ma a cui manca la loro garra. Quella data dal gap tecnico. Quella intrisa nella loro tradizione. Quella trasmessa dal loro popolo.
Il Brasile arriva all’appuntamento clou letteralmente a pezzi, ma carico a pallettoni. Con l’obbligo di vincere e quella quietante consapevolezza di non partir da favorito. Che non è cosa da poco. Tutt’altro. Perchè Low & co. sanno di essere superiori, ma anche di avere davanti un’occasione immensa, storica ed irripetibile, quella cioè di esser la prima europea a trionfare in terra di Sudamerica. Perchè questa Germania è il meglio mix di tecnica forza e potenza di tutti i tempi. Che però significa anche un surplus di ansia, tensione e responsabilità ben al di la’ della media degli altri match, senza contare quegli 80.000 cariocas di Belo Horizonte che vorranno spingere e lanciare la loro Selecao verso il sogno del Maracanà. Al di la’ di Neymar e Thiago, e oltre all’improponibile Fred e a quel suo impresentabile baffo in simil Rivelino.
L’Argentina di Leo è pronta, prontissima. Tornata tra le prime quattro dal mondiale italico, arriva ai piedi del podio dopo essersi liberata dalle polveri dell’eterna eccelsa incompiuta fallimentare. E come la modesta Selecciòn del ’90, pure questa non brilla certamente di talento e diamanti. Ma è semplicemente ed essenzialmente un discreto collettivo ben disposto da un vero allenatore (riferimento al Diego puramente voluto) coadiuvato e “pilotato” dalla classe cristallina di un Messi finalmente in formato-Maradona. Questa di Sabella non è una squadra di “cagnacci” rognosi come lo era quell’Argentina di Bilardo, che pur sfiorò il doppio mondiale, ma la solidità e la robustezza su cui si forgiano difesa e centrocampo albiceleste trovano parecchie similitudini con quella spedizione. Macherano il leader fisico-tattico alla Ruggeri, Garay Gago e Perez come Sensini Lorenzo e Basualdo, Di Maria l’esterno tagliente alla Burruchaga, e la’ davanti tutto o quasi nelle mani del Pibe. O della Pulce, se ve gusta di più. Poi Lavezzi e il Pipita non sono certo Dezotti e Pedro Troglio, ma neppure quest’Olanda è quella superba macchina da guerra che era la Germania di Lothar cata-Klinsma e Andy Brehme. Gli Orange paiono già sazi ed appagati, e il colpo di Krul-genio del barone Van Gaal non potrà nulla se i fiorettisti tulipani correranno al trotto come contro la fatal favola Costarica.
“La palla è rotonda. Mai dire gatto se non l’hai nel sacco. Chi sbaglia paga”. Forse però a questo giro di giostra mondiale neppure gli intoccabili proverbi dogmatici degli dei del Pallone nulla potranno al cospetto di un percorso ed un territorio già marcato in partenza. In un torneo mai così entusiasmante e meravigliosamente equilibrato. Dove devi saperti superare contro chiunque. Dove anche il dettaglio coi guanti vuol dir tutto. Dove la tecnica non è nulla senza il controllo. Dove va avanti chi è più squadra. Dove il Calcio è specchio della vita. Perchè non vince sempre il migliore. Vince anche chi ha più fame.
Avevi capito tutto eh.?