Nell’attesa spasmodica ed ansiolitica delle reazioni dei mercati finanziari, che domattina potrebbero porre l’ennesimo punto esclamativo ad una situazione allo stesso tempo preoccupante ed indecifrabile, si è svolto nella notte e probabilmente si aggiornerà anche in giornata il consulto del G7, dei sette ministri economici dei Paesi maggiormente industrializzati. La paura forte forte è che arrivi anche nel tetto europeo lo spauracchio del taglio di qualche lettera nel rating dei Paesi area-euro, ma anche e soprattutto che vengano presi provvedimenti drastici nei confronti dei titoli di Stato, in particolare quelli maggiormente pericolanti, quelli spagnoli ed ovviamente italiani.
L’Italia, ovviamente. Quando c’è qualche vento o bufera di crisi il Belpaese c’è sempre in mezzo, che sia per il rapporto deficit/pil o per il differenziale Btp-Bund tedeschi, la situazione finanziaria italica non naviga mai in acque tranquillissime. Bisogna dirlo, comunque, in questo Acheronte infuocato siamo sicuramente in buona compagnia, non solo dei cugini iberici, che fino a poco più di un annetto fa ci sbeffeggiavano dicendo di aver inserito la freccia del sorpasso, ed ora si trovano mutilati dal boomerang di mutui ed ipoteche; non solo Italia e Spagna, a questo giro nella giostra-calcinculo del caos-mercati ci son proprio tutti, dalle due regine UE Francia e Germania, fino alla stabile (ma non troppo) monarchia inglese, perchè tutte quante perdono da ormai una settimana una media di 3-4 punti percentuali del valore del loro mercato azionario.
Certo, è innegabile che la posizione Nostra è indubbiamente peggiore delle altre, non solo per lo spred con i Bund tedeschi, arrivato a livelli record, ma anche per una situazione debitoria che non tende a dare segnali incoraggianti. Ed è proprio sul capitolo debito e dintorni che venerdì l’Esecutivo si è riunito in tutta fretta e furia (dopo che il giorno prima aveva versato camomilla a tutti) per comunicare a tv e stampa gli estremi della nuova manovra economica, che punterà tutto sull’anticipo del pareggio di bilancio dal 2014 al 2013, oltre alle liberalizzazioni e alla riforma di welfare e lavoro.
Buoni propositi, belle parole, come quelle che il superministro Giulio Errefloscia Tremonti ha pronunciato riguardo alla volontà del Parlamento di riaprire “già” ad inizio settembre (come fosse un bestemmia solo pensarlo). Ma qui da Noi, lo sappiamo, alle parole non seguono mai i fatti, almeno in tempi celeri, ed attenderemo minacciosi al varco il Governo già a metà settembre, monitoreremo dì per dì se questa volta la parola data non è quella del famoso politico democristiano degli anni sessanta (per cui la parola di un politico vale solo fino al momento in cui la si pronuncia) bensì quella di un responsabile gentiluomo che sa bene che è arrivato il momento delle decisioni irrevocabili.
Sappiamo che questo è un Paese che si unisce per davvero solo nei momenti delle emergenze, delle catastrofi, delle guerre, ed in quei casi lo fa con i controcazzi. Beh, questa possiamo intenderla come una specie di guerra finanziaria, dove è in giuoco non solo il destino dei nostri titoli di Stato, ma quello di tutto un sistema Paese, quello delle nostre imprese, del nostro lavoro, delle nostre vite.
E allora, quale il momento migliore se non questo per fare quello che tutti in cor loro farebbero se non fossero deputati o senatori, ma semplici cittadini, impiegati od operati, dirigenti o quadri aziendali. Quello di cui se ne parla da decenni, che ormai rischia di diventare l’ennesima barzelletta dei tre carabinieri, alla stregua della Salerno-Reggio Calabria o del Ponte di Messina.
Certo, ovviamente, l’avete capito cari blogghisti, si tratta dell’annoso e dannoso tema del taglio delle Province, chi senno’. Sarebbe l’unico modo, il più semplice, il più rapido ed indolore, per creare tanta e tantissima cassa (si parla di 2,5 miliardi di risparmio annuo) e poter redistribuire in maniera ottimale il personale di questi enti inutili (si calcola in 30.000, che potrebbero far fronte alle carenze di scuole e tribunali, per esempio). Una sorta di riciclaggio intelligente (i rifiuti nel caso, non me ne vogliano, sarebbero i dipendenti provinciali, accorpati alle funzioni comunali), che da una parte rimpinza le vuote casse dello stivale, in modo da aiutare il rapporto deficit/pil, e dall’altra crea nuovo lavoro “attivo”, necessario per sopperire a quelle che sono le millenarie lacune e carenze di strutture essenziali ma oramai allo stremo, come gli asili infantili e le scuole elementari, o come le cancellerie dei tribunali, che dire che siano al collasso è molto più che un eufemismo.
E allora, più grana e più lavoro, quali altri motivi volete per poter scrivere in un mese un disegno di legge che faccia sparire questi cazzo di enti-rifiuti, che sono lo specchio di un’Italia ancorata e ferma alla costruzione di ponti ed alle case coloniche del ventennio fascista? Ora, non osiamo parlare di grandi opere che qui da Noi sono una blasfemia, ma almeno eliminare con un semplice e deciso colpo di gomma questo carrozzone zavorrato, beh cari On. Dep. Sen, questo penso che lo possiate fare.
Vedremo poi, se davanti ad una proposta del genere, la cara Lega Nord abbia il coraggio di opporsi per il mantenimento delle comunità montane e delle province produttive del triveneto. Oppure vedremo se PD e Di Pietro saranno così irresponsabili nel rifiutare un provvedimento che chiedono dagli scranni oppositori da ormai un triennio.
Vedremo, ma almeno ci sia un cavolo di portaborse pagato rigorosamente in nero che si prenda la briga di formulare la prima bozza di legge. A ferrogosto ovviamente, come ci hanno promesso Silvio e Giulio.