E’ da poco trascorsa la celebrazione del 25 aprile di Liberazione italica, stiamo per prepararci alla festività lavorativa del Primo maggio e, mentre echeggiano ancora poderose le sante parole di Nonno Napolitano che esorta il Bengodi tutto alla più fervida unità e diffida da facili demagogie, ecco che ancora una volta, e sempre dippiù, viene meschinamente infangata la memoria storica di un’orrenda e barbara carneficina passata da sempre nel più assordante ed inaccettabile silenzio. Quello della vergogna. Quello del sangue dei vinti. E dimenticati.
Siamo a Pieve di Cento – la mia patria – e su uno dei manifesti che, come ad ogni stagione, annunciano l’anniversario della morte dei Sette Fratelli Govoni, trucidati l’11 maggio ’45, appaiono due scritte ignobili ed assurde al tempo stesso, che riaprono una ferita storica lancinante. A cui qualche balordo imbecille di strada o – ancor peggio – una manica di stolti militanti politici (e millantanti brigatisti) ha pensato bene di buttarci dentro una manciata di sale, attraverso uno spregevole sfregio provocatorio lanciato, non a caso, a pochi giorni dal rito di festeggiamento del salvifico e liberatorio intervento alleato-partigiano.
E forse nessuno avrebbe mai udito che la famigerata “Brigata Paolo“, un commando di partigiani comunisti definitosi “d’azione patriottica”, stronco’ in modo disumano la giovanissima vita dell’unica femmina dei sette – Ida, 20 anni – strappandola di forza alla neonata che stava allattando, e violentandola senza scrupoli sino all’ultimo respiro di terrore. E sicuramente nessuno avrebbe avuto notizia del supplizio agonizzante dei due genitori Govoni, ed in particolare della madre Caterina che, mentre si dannava e si affannava alla ricerca di un indizio che la portasse ai resti dei figlioli, venne per anni derisa e coperta di insulti, tanto che qualcuno le consigliò, per facilitarne il compito, di armarsi di un buon cane da tartufo. E tanto meno nessuno di noi comuni mortali saprebbe (e neppure ne potrebbe rimanere sconcertato) che, dopo tutta questa infinita sequela di orrendi e terribili crimini, l’esimio Stato italico, dopo aver tergiversato assai, decise di liquidare i due anziani Govoni con una pensione di 7000 lire mensili. Mille lire per ogni figlio massacrato.
E di sicuro neanche il fine udito di quella finta-neobrigatista mano che si è divertita a scarabocchiare l’affissione dei 7 Fratelli, avrebbe mai appreso che dopo un calvario omertoso – per recuperare i resti di ossa spezzate e sfracellate – durato ben sei anni, e dopo un processo che condannò all’ergastolo “Drago” Caffeo e tre dei suoi compagni della “squadra della morte”, gli assassini prima furono coperti e fuggirono, poi vennero sollevati da ogni condanna, perchè i reati a loro ascritti poterono godere dell’amnistia togliattiana. Venne cioè riconosciuto loro il sommo motivo della lotta contro il nazifascismo. Una sorta di sterminio per giusta causa.
Con ogni probabilità i codardi e fuggitivi writers della furtiva notte pievese neppure conoscono o mai hanno sentito parlare delle vicende che legano indissolubilmente i Fratelli Govoni alla Storia di questo Paese. Una storia drammatica e pazzesca, la loro. Una storia, colpevolmente, di serie C. Che in pochissimi sanno, e che ancor meno han voluto parlarne e scriverne le memorie. Se non fosse stato per il buon Giorgio Pisanò, che tra il ’65 ed il ’66 compose il volume “Storia della guerra civile in Italia” dedicando un capitolo ai sette pievesi, probabilmente nessuno – oltre le quattro Porte di Pieve – avrebbe mai conosciuto questa efferatissima realtà del primissimo dopo guerra.
Nessuno avrebbe saputo che questi ragazzi ed uomini, con età compresa tra i 41 ed i 20 anni, furono prelevati e deportati senza motivo alcuno da una banda di briganti, percossi e seviziati per quasi un intero giorno, e seppelliti – ancora vivi e rantolanti – in una specie di fossa comune, privati di abiti e derubati dei preziosi di valore. E forse nessuno sarebbe mai venuto a conoscenza, senza Pisanò prima e con Giampaolo Pansa (“Il Sangue dei Vinti”), Bruno Vespa (“Vincitori e Vinti”) e Gianfranco Stella (“Compagno Mitra”) poi, che solo uno dei sette era iscritto al PFR (partito fascista repubblichino), mentre un altro era stato combattente in Africa per la R.S.I.E su entrambi, a guerra finita, non pendeva la benchè minima accusa. E con tutta probabilità nessuno avrebbe neppure imparato che un’intera famiglia, quasi del tutto estranea alla politica attiva, fu sterminata esclusivamente per poter seminare il terrore ed avere il controllo di certe zone dell’Emilia. E seppoi erano sette come i Cervi, tanto meglio, così si faceva pari e patta.
LA VERSIONE DI MUGHINI
La triste ed invisibile storia dei Govoni è stato uno dei simboli della diametrale differenza di trattamento dei morti della Resistenza italica, ed emiliana in particolare, dove le vittime di un certo rossiccio colore politico sono sempre state accolte tra fanfare, onori e lapidi monumentali, mentre quelle di presunto segno opposto anzichè neutrali hanno dovuto attendere decenni per ottenere il minimo sindacale riconoscimento.
Com’è accaduto per i 7 Fratelli che, dopo esser stati ripudiati dal proprio comune per il funerale del ’51 (svoltosi nella vicina Cento, ndr), hanno ottenuto solo dopo parecchi anni l’asilo politico nella loro natale Pieve, dove risiedono (assieme ai genitori) in un’anonima ed umilissima lapide. E se, nel lontano secondo dopo guerra poteva essere comprensibile il timore di celebrare queste vittime per paura di altro terrore e rappresaglie, dopo il ritrovamento dei resti e le pubblicazioni su i delitti, appare ancor’oggi inconcepibile come un Comune così sensibile agli aspetti socioculturali, e tanto più appartenente ad una delle Regioni più evolute e progredite d’Europa, sia ancora miseramente ed in modo meschino così ancorato a queste puerili etichette di un assurdo luogo comune medioevale. Che neanche ai tempi di Peppone e Don Camillo.
Pieve non ha fatto alcunchè per riconoscere e far conoscere la storia di questi suoi figli. Anzi, peggio ancora, ha cercato di insabbiare. Perchè non ha mai avuto l’elementare e basico coraggio di uscire da quel latente immaginario collettivo, che non avrebbe mai potuto accettare tali cerimonie, perchè in onore di coloro che erano nemici, che stavano dalla parte sbagliata, e che non avrebbero mai meritato un’accoglienza pari a quella degli altri. Quelli bravi e valorosi, s’intende. Quelli che stavano e stanno dalla parte giusta.
Tant’è che, almeno dopo aver ceduto alle pressioni che ne volevano la celebrazione della messa dell’anniversario nel paese dove hanno sempre vissuto sin dal primo vagito, la vicenda dei Sette Fratelli, a Pieve, è sempre stata vissuta e guardata con un certo distacco e diffidenza. Lasciando colpevolmente che della loro memoria se ne occupassero frange politiche di Destra che negli anni hanno voluto onorare le vicende di questa laboriosa famiglia contadina. E creandosi dunque una sorta di giustificazione preconcetta, destituendo con sollievo il Comune dalle proprie responsabilità, forte anche del fatto che ora la comunità avrebbe visto ancor più questa vicenda colorata di inequivocabili tinte fasciste. Mettendo così la “grana Govoni” a tacere, per sempre. Con buona pace dei familiari. Che ora si possono almeno consolare con la santa messa. Amen.
La coltre di ignoranza sulla vicenda in questi ultimi tempi si è assai diradata, anche grazie alla rete ed alcuni buoni speciali del Vespone nazionale. Ma questa efferatissima pagina criminosa rimane purtroppo ancora di seconda o terza fascia, e questi caduti, solo perchè non hanno lottato per un ideale di liberazione, considerati come indegni di appartenere al vasto libro della Resistenza peninsulare. Solo perchè non si sono battuti per qualcosa di nobile o perchè, come disse Faustino Bertinotti «quegli altri (i Govoni, ndr) non hanno fatto niente, sono sì vittime, ma non possono essere ricordati come attori della storia. Ci sarà pure una differenza, o no?». No, caro Fausto, sono e devono essere ricordati quanto e come i Cervi, perchè il loro inconcepibile sacrifizio ha rappresentato uno dei capitoli più bui e opachi del primissimo dopoguerra italico. Tanto che dovrebbe essere raccontato, descritto e impaginato anche sui libri di scuola. I sette fratelli Govoni, con le loro atroci sofferenze e quelle acerbe vite spezzate, seppur non essendo eroi nazionali, hanno contribuito a fare luce e chiarezza su quello che era l’ordigno ad orologeria partigiana dell’epoca, pronto ad esplodere puntualmente appena dopo la liberazione alleata.
Perciò non si aggiunga ulteriore omertà alla Loro memoria, e per una santa volta si condanni senza SE e senza MA questi atti inverecondi che, seppur compiuti da stupidi scimuniti di quartiere, accrescono a dismisura i sentimenti di vergogna e di collera, per una famiglia che ha vissuto nel terrore e che neppure da defunta riesce a trovare quella serena pace eterna che le spetterebbe di diritto.
Per tanto, a voi, poveri e ridicoli infangatori da quattro soldi, va tutta la nostra più alta commiserazione. Perchè il vostro goffo e grave gesto non merita che un compatimento nazional popolare, bipartisan. A Lei, invece, Comune di Pieve di Cento, prima di immergersi nel fervore dei preparativi dell’amato primo maggio, chiediamo che si affretti a scrivere sul proprio sito due semplici righe ufficiali di ferma e decisa condanna a questo infame atto d’inciviltà. Perchè è stata offesa la memoria, perchè è stata pugnalata una famiglia, e perchè sono stati violentati sette suoi figli. Per l’ennesima volta. Caro Comune.
Basta poco, serve volerlo. Perchè non si attenda il solo conforto della giustizia divina per poter riconoscere le vite di Marino, Dino, Primo, Augusto, Ida, Emo e Giuseppe come quelle di tutti gli altri. Come quelle di ogni altro cittadino di Pieve. Comunista o missino che esso sia.
Complimenti!!
Pulito, Essenziale e Ineccepibile. Quoto++++
la memoria non puo’ essere infangata da una stupida mano comunista.
Giorgio
E’ stupido ma non sprovveduto. Chi lo ha scritto conosce la storia dei 7 fratelli Govoni. Non ha scritto “spie” a caso. L’uccisione è avvenuta fra Stiatico e Funo, perchè si pensava che due dei fratelli avessero partecipato attivamente alla cattura della staffetta partigiana Irma Bandiera (tesi infondata).
Una vergogna. Uno schifo! Onore a loro.
massi
La storia fa pagare il conto ai perdenti. Chi ha ucciso lo ha fatto appropriandosi di un valore di rivalsa tanto infondato quanto stupido. E’ stata la guerra civile, sporca, ignobile, sanguinosa. Ma va identificata in un periodo di grande odio e di inesistenza delle istituzioni. La violenza è stata anche quella di oscurare la resa dei conti. A scuola non si parla di guerra civile, non si parla delle Foibe, di Porzus, della cartiera di Oderzo, della corriera fantasma. Non si parla perché si ha vergogna della realtà dei fatti. Il 25 Aprile non è e non sarà mai una festa.
Condivido la tesi, Mauro, non la conclusione. Il 25 aprile è arrivata la liberazione angloamericana, ed è giusto festeggiare.
Come però è giusto commemorare e dedicare lapidi e strade a chi è morto in un modo tremendo, senza alcun senso.
Giovanni B.
Cos’è la corriera fantasma Maurino? scusa l’ignoranza ma non lo so…
E.
La “Corriera Fantasma” è stata così denominata in quanto ci riferisce ad un camion messo a disposizione del Vaticano per il rientro a Roma di alcuni militari dell’RSI dopo il ’45.
Partita da Oderzo, dotata di effige pontificia, con il benestare del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) doveva trasportare 43 persone. Dopo diversi punti di controllo gestiti da militari incapparono in un posto di blocco a San Possidonio nel modenese. Da cui il carico fu diviso in due per permettere gli interrogatori da parte della banda partigiana locale (consuetudine in quei tempi) e 9 dei trasportati furono arrestati e trattenuti a Concordia.
Dei 36 passeggeri rimasti, dopo il benestare al passaggio, non si seppe più nulla.
A Concordia è stato eretto qualche hanno fa un monumento in loro memoria.
Il caso è stato riaperto recentemente visto il ritrovamento avvenuto nei primi anni ’60 nella campagna persicetana di una fossa comune. Ora si sta procedendo alle verifiche forensi.
Allego link:http://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/cronaca/2012/04/11/695489-sangiovanniinpersiceto-scheletri-cimitero-riesumati.shtml.
finalmente qualcosa in cui non sei il solito banale, Mauro. Almeno nella rossa Concordia un monumento è stato fatto, nella viola Pieve, invece, il nulla.
Francesco C.
Da notare che il ceppo attualmente posto è stato eretto su un lotto di terreno comprato da privati, un professore universitario e altri due professionisti ferraresi. Da qualche hanno è stata aggiunta anche una statua fatta da una scultrice anch’essa ferrarese. Raffigura una donna che piange i propri figli.
era da dire che non fosse stato comunale, il ceppo. “Anno” senz’h…
F.C.
penso che siano scritte troppo lucide e pianificate per essere catalogate come stupide e stolte. Chi ha scritto sapeva ciò che voleva fare e suscitare e, nel suo, ci è riuscito.
Marco G.
Bastardi vigliacchi comunisti! non cambiate mai.
Robby C.
Il manifesto in questione è stato strappato con incuranza dalla sua posizione originaria. L’amministrazionev pievese si sarà vergognata dei suoi elettori “imbratta mortori” e ha cercato l’insabbio tadivo? Per me si, è nel loro stile.
Ai morti almento lasciate la pace.
non c’erano dubbi, tanto più che i manifesti sono stati appesi da un privato, non dal Comune ovviamente.
simone
Conosco il privato che ne ha voluto l’affissione a Pieve e in altri comuni. Mi fate sapere cortesemente dov’era posizionato il manifesto che è stato imbrattato e successivamente rimosso?
grazie
a fianco da Filizòn – Porta Cento. Chi è costui?
simone
Mauro, se sai qualcosa parla. Bisogna arrivarci in fondo
E.R.
Parla Mauro, o verrai messo al muro.
Non vi dico chi ha espressamente chiesto la distribuzione dei manifesti perché prima vorrei parlarne con lui (mi pare siate d’accordo con me). Vi posso però dire che l’agenzia che ne ha curato l’affissione lo ha fatto molto volentieri visto il messaggio che si voleva rappresentare.
Vi invito però a non soffermarvi solo su questo evento. Se avete ancora i nonni o conoscete persone anziane, fate domande, informatevi.
Ricordo che nella fossa dei fratelli Govoni sono stati rinvenuti 21 corpi. Una maestra di Asia, un professore di San Pietro, suo figlio, ecc….
Ho conosciuto una persona che ha passato a Pieve la sua adolescenza.
Mi diceva che metà dei suoi amici in compagnia, nei primi anni ’60, non hanno avuto notizie del padre dopo il 25/04/45.
il tuo impegno e passione sono commoventi, Mauro. Rimani banale, ma ora sei anche utile.
Giorgio
Giorgio, perché banale? Ritieni i miei interventi scontati? Non è in questa sede che cerco di essere accattivante….
Seguendo come te questo blog ritengo che la maggior parte dei tuoi interventi siano stati molto banali, ma su questo tema sei stato fondamentale. Nelle altre sedi non posso giudicare, ti conosco solo in questa.
Giorgio M.