Il Milan non c’è più. Il certificato ufficiale di morte è arrivato nel pomeriggio di domenica, quando uno sparuto cerebroleso manipolo di ultrà ha chiesto ed ottenuto di parlare con mezza squadra (Clarence compreso) bacchettando ed umiliando ciò che è rimasto dell’era più vincente della storia calcistica internazionale. Quella del Cavalier Berlusconi.
Mettendo sul banco degli imputati colui che ha gestito un quarto di secolo di trionfi rossoneri e che, fatta eccezione per la notte di Marsiglia e una serie di mirabolanti uscite dall’urinario televisivo, è da considerarsi uno dei più grandi dirigenti pallonari di sempre. Quell’Adriano Galliani che, appena due stagioni fa, aveva praticamente chiuso per Tevez in quello che con ogni probabilità sarebbe stato – secondo solo a Ibra-Eto’o – l’affare del millennio. Con l’Apache in rossonero per un tozzo di pane e quel mezzo papero di Pato valutato la follia di 35 milioni. Poi non se ne fece nulla, perchè intervenne il Capo sotto delega della figlia, allora pazza del giovine brasiliano zoppo. Quella Barbara Berlusconi che oggi dovrebbe avere le chiavi della gestione di via Turati, e con cui i benpensanti Ultrà si sono schierati domenica, insultando ferocemente l’esautorato Adriano.
Il comunicato della Curva Sud
Già questa cartolina basterebbe per illustrare il caos non-calmo dell’ambiente milanista, con una società assente e indecifrabile, che si consegna alla Curva dando in pasto tecnico e giocatori a quattro zucche vuote e pelate che si mettono pure a bacchettare. E che impongono linea di mercato e comportamentale. Facendo bilanci e repulisti, e riducendo la figura di Galliani ad un misero amministratore condominiale capace solo di fare le nozze col caviale e di mettersi al soldo dei soliti amici-squali procuratori. Le comiche finali. Buffe a tragiche al tempo stesso. Perchè se nel giorno dell’ennesima figuraccia interna ti rifugi dietro un impietoso e pusillanime silenzio stampa e la priorità diventano una manica di figuri ultrà (al grido “C’avete rotto i coglioni, veniamo coi bastoni”), beh allora vuol proprio dire che la resa è totale. E che è davvero tutto finito.
A Milanello corrono i titoli di coda ed il probabile sipario del sultanato del Cav. Ma c’era modo e modo per chiudere un’era, un ciclo, un’epoca. E la non-gestione Berlusconi dell’ultimo quinquennio ha scelto la strada peggiore. Quella della vergogna. E della menzogna. Che pare d’essere ad Appiano negli anni di maggior “splendore” morattiano. E roba che pure i bidoni-sciagura Gresko&Vampeta, al cospetto della coppia dorata Honda-Essien, si rivalutano d’immenso.
Adriano al capolinea
La tanto agognata e propagandata rifondazione del dopo-2007 non si è mai realmente concretizzata. E la parentesi Ibra condita dall’ultimo miracolo Champions firmato allegri-Balo ha solo illuso ed eluso vecchie cancrene tecniche e gestionali. Che quest’anno, come accade spesso nella vita pallonara, si sono palesate tutte insieme con implacabile e crudissima evidenza. Presentando conto ed interessi di oltre un lustro di ritornelli da favola e improbabili chimere.
Nessuno è esente da responsabilità e colpe più o meno gravi. Neppure l’asceta Clarence, che ora scarica tutto il barile al governo precedente – mostrandosi più italiano del peggior italiano medio – ma che in appena due mesi è riuscito a mettere in fila l’orrore di 7 sconfitte e 19 goals subiti. Come e peggio di Allegri. Che che ne dicano nostri signorotti della Fossa e un’opinione pubblica fino a ieri dolce e appecorata a livelli renziani. E certamente pure lo Zio Fester Galliani ha la sua buona dose di negligenza. Partendo dai soliti ritriti slogan di fine estate che parlano di squadra competitiva per tutto (Birra Moretti escluso) e che inneggiano ai grandi fasti della bacheca del clùb più titolato al mondo. Senza precisare che dietro Bonera è il miglior difensore del rooster, che in mezzo l’uomo di qualità è il torello De Jong, e che davanti tutto o quasi è sulle spalle dell’unico neurone rimasto sulla cresta di Mario.
Ma è indubbio che il grande inquisito della peggior catastrofe milanista da quando ci sono i campionati a venti è senz’ombra di fallo il patron Berlusconi. Reo, al di là di non aver cacciato il grano sufficiente in un periodo storico di estrema magra pure per le casse del Biscione, soprattutto di non esser mai stato Presidente, almeno fin dalla sua terza discesa in campo. Gestendo il Milan come il Pdl. Senza programmi, senza ricambi, senza nulla. Restaurando e ritoccando ogni anno col cerone una squadra già ampiamente logora e dagli ingaggi ingiustificabili. Delegando ogni euro al fido Adriano, che avrà sì puntato all’eccesso sui top player da ricovero, ma che non aveva neppure altre e troppe alternative di azione se non quella di investire i pochi danari sugli esosi cartellini delle vecchie figurine a parametro zero (che hanno anche portato uno scudetto, non più di due anni fa, lo si ricordi). E per non parlare poi della grottesca sdoppiatura dell’amministratore delegato, per far felice la capra e pure il cavolo. Ma che non ha fatto altro che aumentare il caos e l’anarchia rossonera. Certificata all’unisono nel dopo partita di domenica, dove gli unici che hanno preso parola sono stati i quattro intellettuali calvi del primo anello Sud.
“Seedorf non si discute, Milan costruito male”
La gestione improvvisata che vive e vegeta in eterno sul culto della persona, del blasone e della bacheca possono forse far campare di rendita in politica, grazie alla fedeltà di un corpo elettorale conquistato e mantenuto da un marchio duro a morire. Ma nel calcio no. A lungo andare nel pallone la paghi. E carissima. Ti può andar bene per due, tre, o magari anche quattro stagioni, ma alla fine poi la pena la devi scontare. Tutta assieme. Di brutto. Come quest’anno. Anche in modo forse ingeneroso, anche ben oltre i tuoi demeriti. Perchè questa è la legge del Calcio, che è assoluto ed impareggiabile specchio di vita. E se provi a prendertene giuoco o a fotterlo, prima o poi arriverà, sicuro ed implacabile, il momento del giudizio. Così, o ti prepari al peggio, oppure te ne vai prima che sia troppo tardi. Evitando e scongiurando il baratro. Magari vendendo a un arabo. O a un qatariota. O, perchè no, anche a un indonesiano. Altrimenti perdi pure il cerone. Assieme a capra e cavoli.