Quando, negli anni del suo insediamento al Quirinale (’92-’99), ebbi a che’ fare come giovane cittadino italico con il nono Presidente Oscar Luigi, ricordo perfettamente di averlo sempre dipinto ed etichettato (all’epoca anch’io ero afflitto da questo male, ndr) come un bigotto ed incallito sacrestano, avvezzo alle regie stanze dei bottoni, con quell’accento e parlata monastica che adoravo imitare e quegli occhietti vispi e servizievoli che mi davano l’idea di una persona estremamente ipocrita e falsa, ma che sapeva il fatto suo.
Che cercava di aggiustare ogni cosa, che ti salutava con quel perfido sorrisino protocollare, ma che poi era pronto a pugnalarti alle spalle, libero dal peccato e sicuro da ogni turbamento. Come il suo democristianesimo dilatato sino al midollo. Un profilo e pregiudizi implacabili, non c’è che dire. Che con gli anni, purtroppo (o per fortuna), non sono mai riuscito a smentire e sbugiardare, se non solo assai parzialmente, dimostrandomi buon profeta. Mi piacque per davvero solo in un’occasione, il senatore Scalfaro, in quella celeberrima del discorso alla nazione del 3 novembre 1993. Non tanto per motivi dialettici o per il suo adulato e costernato sentimento anti-Mafia, ma piuttosto per quel deciso e mediatico “Non ci sto!”, che mi rese celebre in tutto il quartiere per una delle mie prime vere imitazioni. La prima, anzi – che non si scorda mai – ma forse anche la più riuscita. E per questo (e solo per questo) gli sono grato, perchè quella breve parodia diede il la’ ad una lunga serie di altri miei indiscutibili capolavori. Ma questa è un’altra storia. La mia, che non frega a nessuno.
Quella di Oscar Luigi, invece, attraversa l’intera parabola della politica nazionale, dalla Costituente sino al Cavaliere, con la DC suo unico vero grande amore. Una storia colma di gloria ed onoreficenze, e piena di ombre e contraddizioni. Fu Scalfaro che nel ’45, già affermato magistrato oltre che Pm nei Tribunali Speciali, chiese ed ottenne la condanna a morte di sei imputati fascisti (tra cui un tale di nome Domenico Ricci) accusati di “collaborazione con il tedesco invasore”. A distanza di parecchi anni, nel 2006, fu lo stesso Oscar Luigi ad esprimere dubbi sulla fondatezza di quelle accuse, non sapendo neppure rispondere alla figlia del Ricci, dichiaratosi innocente per iscritto, che gli chiedeva se all’epoca, interrogandolo, lo ritenne davvero colpevole. “Non so”, rispose il futuro Presidente. Esprimendo in toto il lato più macabro e diplomatico della vecchia politica targata Dc.