Partiamo col dire che 15 milioni di euri al Corinthians sono oggi un super affarone, perchè il Papero attuale non ne vale più di cinque e una figura. Ma è necessario anche ribadire che non più di dodici mesi fa il Milan si sarebbe intascato 35 ed avrebbe ottenuto pure Tevez a saldi Mancini-natalizi. Invece intervenne lo scellerato Cav – per amore di famiglia e orgoglio di cerone – in una delle sue tante ed innumerevoli cazzate tra fine-mandato ed anno solare 012. E magari ci metterà lo zampino anche in questo capodanno, fermando ancora il coito paulista di Galliani in torcida e nominando il fragile Alexandre bandiera e futuro rossonero.
Al di là delle boiate presidenziali che nell’arco di una stagione han fatto perdere alle casse di via Turati liquidi sicuri ed immediati per venti milioni oltre che un investimento tutt’altro che recessivo dal nome Carlitos, è tutto il quinquennio targato Pato che assume i contorni della tragicommedia fantozziana e del flop più macchiavellico.
Paperino de no’ altri – se si eccettuano i primi due anni e mezzo di discreta e sana costituzione – riesce a collezionare l’imbarazzante bellezza di 16 infortuni 16 (per lo più di natura muscolare) all’invidiabile ed imbattibile media di oltre cinque a stagione. Che, al netto di festività, ferie e saudade varie, si impenna alla parabolica di 10 all’anno, in pratica uno al mese. Tanto da suscitare le ilarità più grottesche e le parodie via web più giustificate, che collocano il gracilissimo Pato in testa ad ogni annuale classifica targata Corrazzata Potemkin, oltre che infinito vincitore del bidone d’oro pallonaro. In soldoni, ogni volta che il giovine Papero infilava i suoi dorati tacchetti nel manto di Milanello, il crack di qualsivoglia suo arto e/o infinitesimo muscolo era quotato praticamente alla pari.
Pato Alexandre chiude un lustro di assoluta e totale minusvalenza. Oltre a quella finanziaria (7 milioni in meno dopo l’acquisto esorbitante targato Leo a fine 2007) vi è soprattutto quella della cifra tecnica e di incidenza sui risultati. Magrissima, come il numero di partite disputate nelle ultime due stagioni (appena 15). E non abbagli la solita pubblicizzata media di gol di poco inferiore ad uno ogni due gare. Perchè il Papero non è mai stato veramente determinante e decisivo, e tanto meno parte integrante di un concetto di squadra a lui assolutamente ignoto e sconosciuto. Il primo spezzone di stagione è quello più facile, da neo maggiorenne, dove la squadra e l’ambiente non possono che esortarlo ed incitarlo. Così come la seconda – la prima dall’inizio e l’ultima fatta per intero – in cui Pato le gioca quasi tutte ed è cannoniere. Ma dal 2009, quando gli si chiede – oltre al libero personalismo fuori dagli schemi – anche un approccio più maturo, collettivo e tattico, ecco che il Papero si squaglia nell’acquitrino del suo dissennato ed indisponente egoismo. E così il tricolore 2011, che i numeri parrebbero consacrarlo, lo lascia ancora ai margini, mai determinante con le grandi e assente nella volata conclusiva, con quel macigno di sudditanza verso Ibra che rappresenta un fardello psicologico insormontabile. Per il suo giuoco solitario e fine a se’ stesso, e per quella sua debolezza presuntuosa che lo ha condotto negli angoli più isolati del gruppo di sor Allegri. Con l’effetto-Barbara che ha rappresentato solo l’ultimo imbarazzante detonatore.
Le precedenti due stagioni dell’eterna promessa verdeoro sono una grande ed interminabile virgola, con una rete appena l’anno scorso e quei due goals ingannevoli in Champions che avevano illuso solamente il Cav., ma buoni almeno per far risalire le quotazioni del buffo riccioluto sino ad una decente quanto non disprezzabile valutazione paulista. Che oggi come oggi è davvero grasso che cola.
Addio Papero, triste e solitario sciancato.