Da oltre due settimane è scoppiato un nuovo tragico bubbone che sta incendiando  l’Africa Subsahariana, con epicentro il povero ma assai allettante Mali. Lo scenario di guerra si è presto diffuso, arrivando sino a toccare le coste mediterranee. E’ proprio notizia di giornata che il primo ministro algerino ha annunciato l’ufficialità del numero di ostaggi (37) freddati a morte durante l’assalto dei giorni scorsi. Si è scoperto che, tra i vari terroristi algerini, egiziani, maliani, tunisini e mauritani, ve n’era pure uno di nazionalità canadese.  Questo è solo un dettaglio, piccolo ma non trascurabile, di come lo scenario bellico “francese” stia diventando sempre più ingarbugliato. Nella polveriera africana sono arrivati infatti un po’ tutti, dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, dall’Onu fino alle milizie terroristiche di AlQaeda. Ed è proprio per questo, per tentare cioè di far chiarezza su un’intricatissima matassa internazionale sconosciuta ai più, che la redazione di mlon13.com ha deciso di intervistare Raf, volontario e cooperante di ISF, recentemente sbarcato in Mali per la gestione di un progetto tecnico-umanitario.

Buon giorno Raf. Lei fa parte dell’organizzazione “Informatici Senza Frontiere” (ISF). Ci può dire brevemente di cosa vi occupate e quali progetti sviluppate?
ISF è una Onlus nata nel 2005 che ha come primo obiettivo quello di utilizzare conoscenze e strumenti informatici per portare un aiuto concreto a chi vive situazioni di emarginazione e difficoltà. Realizziamo progetti in Italia e nei paesi in via di sviluppo offrendo l’opportunità di conoscenza dell’informatica e i vantaggi che anche una piccola tecnologia può portare a realtà come ospedali, carceri, case di accoglienza e scuole. Crediamo nell’uso abilitante delle “nuove tecnologie” come modo per migliorare la qualità della vita. Oggi Informatici Senza Frontiere conta dieci sezioni regionali e più di 300 soci e socie, informatici e non, che contribuiscono alla vita dell’associazione.
Con ISF è stato anche in Mali. A quando risale e cosa trattava il suo ultimo intervento?
Sì, esatto sono stato in Mali tra dicembre e gennaio dell’anno scorso esattamente a Douentza un villaggio nella parte centro-occidentale del paese a circa 800 km dalla capitale Bamako. Lo scopo è stato la partenza di 2 progetti nati in collaborazione con una associazione umanitaria Italo\Maliana (Appui Sans Frontières) per l’allestimento di un’aula informatica presso una scuola locale e la formazione dei relativi insegnanti che si sarebbero occupati della formazione ai ragazzi. L’altro consisteva nella creazione di un internet point e centro di fotocopisteria, adibito anche a corsi di formazione di alfabetizzazione informatica per donne e adulti. Il tutto è stato allestito con attrezzature informatiche dismesse da aziende italiane che sono state ricondizionate e riconfigurate adeguatamente.
Il Mali è uno degli Stati più poveri ed affamati del mondo. Qual è il quadro sociale ed etnico?
Diviso a metà tra il deserto del Sahara e l’arida fascia del Sahel, il Mali è uno dei paesi più grandi dell’Africa occidentale. Ricoperto per due terzi circa dal deserto, il Mali è caratterizzato da un paesaggio piuttosto arido che solo nella parte meridionale lascia spazio a alcune foreste. Popolazione di circa 14,5 milioni concentrata in gran parte nella parte centro meridionale. Molti i gruppi etnici tra cui i principali sono: Bambara (maggioritari), Bozo, Dogon, Malinke,  Soninke, Songhai, Tuareg, Kassonke, Senufo, Minianka, Peul. Il Mali è un Paese in cui la maggioranza musulmana (80%,), convive con la popolazione animista (18%) e cristiana.

Le attività economiche principali sono l’agricoltura , l’allevamento e la pesca nelle aree limitrofe al fiume Niger, ma hanno in gran parte carattere di sussistenza. Il paese purtroppo risulta uno dei più poveri al mondo nonostante le ricchezze del sottosuolo: terzo produttore mondiale di Oro e con importanti miniere di bauxite, manganese, zinco, litio e rame ma che essendo in gran parte gestite da aziende e gruppi stranieri, lasciano al paese solo le bricciole.
All’epoca vi era già il sentore che la situazione potesse precipitare così rapidamente?
Sinceramente no, o meglio la situazione era già molto calda da novembre 2011 con diverse azioni di gruppi islamici che avevano rapito alcuni occidentali nelle aree del nord del paese e anche a Hombori ovvero a 100 km di distanza da Douentza. Diciamo che fino all’ultimo anche la nostra missione è stata sul punto di bloccarsi, ma poi (forse rischiando un po’ più del dovuto) abbiamo deciso di partire comunque e non abbiamo avuto fortunatamente problemi portando a termine i nostri obiettivi.
Da circa una settimana la questione-Mali è salita tragicamente alla ribalta internazionale. Può chiarirci le motivazioni e le cause che hanno portato ad accendere questa miccia di guerra?
Direi che è più corretto dire che è stata letteralmente non considerata dai media europei per diversi mesi sino a quando la Francia è entrata bruscamente nel conflitto utilizzando le sue forze aree per evitare che la nuova avanzata dei ribelli portasse la caduta della capitale e la conquista totale del paese. Ma diciamo che la situazioni nel paese africano ha avuto un’importante escalation a partire dal Golpe avvenuto il 22 marzo 2012 effettuato da una parte dell’esercito maliano per deporre il presidente Traorè ritenuto incapace di contrastare i ribelli separatisti che agivano nel nord del paese. Questo di fatto ha completamente dissolto l’asse politico/istituzionale che seppur molto debole esisteva, lasciando un grande vuoto che l’incapacità dei rappresentati militari autori del golpe ha solo accentuato. Le conseguenze del vuoto di potere sono state il via libera alle forze separatiste del MNLA ovvero dei tuareg alleate con i vari gruppi islamisti jihadisti che hanno potuto avanzare praticamente indisturbate occupando quasi due terzi del paese in poco meno di un mese. Da sempre i Tuareg, i cosiddetti uomini blue del deserto, rappresentano un problema per il governo di Bamako. Essi rivendicano una maggiore autonomia e un maggiore considerazione da parte del governo che colpevolmente spessissimo li ha dimenticati nelle vaste aree desertiche dove difficilmente arriva il sostegno economico da parte del governo. Dopo la guerra degli anni 90 e con la concessione di una serie di autonomie e  promesse da parte del governo centrale , la situazione era rientrata , ma purtroppo il non mantenimento delle promesse non ha fatto altro che riportare ad altissimi livelli l’esasperazione dei Tuareg. Altri fattori si sono poi aggiunti ovvero la caduta del regime libico, il rientro in “patria” nel nord del Mali dei numerosi miliziani di orige tuareg facenti parte delle forze militari di Gheddafi dissolte, il grosso flusso di armi fuoriuscite in massa dallo stesso paese, e l’alleanza con una serie di movimenti islamisti radicali nel Nord del paese hanno innescato il conflitto con lo scopo della liberazione della grande parte settentrionale del paese per istituire uno stato tuareg indipendente chiamato Azawad.
Quali forze nazionali ed internazionali partecipano a questa guerra?
La protagonista indiscussa sul campo è la Francia con il supporto di truppe di terra dell’ECOWAS (i paesi africani dell’Africa Occidentale) oltre che l’appoggio logistico di molti paesi dal Canada, agli Usa , la Germania, il Regno Unito, la stessa Italia.
Al Qaeda e il terrorismo islamico stanno giocando un ruolo attivo e determinante?
Certamente sì. Bisogna però fare attenzione a non confondere le forze attualmente in campo:  il movimento Tuareg MNLA (Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad) dai diversi gruppi islamici (Al Qaeda per il Maghreb Islamico, Ansar ad-Din,  il Movimento per l’Unicità e il Jihad e altri ). Il primo movimento esistente dagli anni 80 con lo scopo di liberare parte del territorio maliano creando uno stato indipendente dell’Azawad. In realtà al di là del sogno quasi utopico dell’indipendenza c’è il più concreto obiettivo (avvallato anche dall’Onu infatti una questione touareg esiste e va affrontata, non rimossa) di  fare riconoscere al governo maliano una maggiore autonomia da parte dei territori tuareg e una maggiore considerazione da parte del governo centrale. I secondi invece hanno lo scopo della creazione di uno stato islamico libero e indipendente  che va oltre i confini del Mali (una sorta di macroregione saheliana)in cui applicare la legge coranica controllata dall’islamismo militante e combattente.
Probabilmente l’errore dei Tuareg (lo hanno ammesso in questi giorni anche loro) è stato quello di sfruttare l’alleanza con questi gruppi credendo di potersene sbarazzare facilmente, in realtà ciò che avvenuto è stato proprio il contrario e dopo le conquiste iniziali fianco a fianco, gli equilibri sono cambiati e gli islamici hanno preso il controllo dei centri urbani principali del nord e centro rilegando i tuareg nelle zone rurali e desertiche. Al momento il MNLA sta riavvicinandosi al governo di Bamako appoggiando i francesi, plausibilmente sulla base della concessione di un’ampia autonomia, per affrontare la comune minaccia islamista.
C’è chi definisce il Mali il nuovo Afghanistan, perchè vede somiglianze tra Tuareg e Talebani. Lei è d’accordo?
In parte le ho risposto prima, nel senso che non vanno confusi il movimento Tuareg e i diversi gruppi islamici. Sono d’accorso in parte sulla comparazione con l’ Afghanistan in quanto in effetti tutta la vasta parte del nord maliano ( ma non solo pensiamo di fatto all’Algeria) in quest’ultimi mesi si è riscontrata una forte convergenza di diversi gruppi islamici provenienti da Somalia, Nigeria, ecc che hanno visto questo territorio come un sicuro e fertile rifugio dove potersi organizzare, addestrare , armarsi in tutta libertà.
Che interessi ci sono dietro questo Stato all’apparenza poverissimo ed improduttivo?
Ovviamente numerosi. Il Mali è’ il terzo produttore mondiale di oro e diversi altri minerali . Esiste la possibilità della presenza di miniere di uranio oltre che di petrolio/gas nella vasta area del nord che non è ancora stata esplorata a fondo, ma le potenzialità sono alte. In questi territori fino a 10 anni fa’ la Francia ex potenza coloniale della zona l’ha sempre fatta da padrona indiscussa sull’argomento dello sfruttamento delle risorse. Poi lo scacchiere geopolitico mondiale ha visto l’esigenza di un nuovo equilibrio in questi ultimi anni sotto la forte pressione delle nuove potenze economiche mondiali affamate di materie prime dalla Cina in primis, ma anche India, Brasile, Sud Africa…
Ufficialmente, l’intervento francese è motivato dalla volontà di tutelare l’integrità territoriale del Mali e combattere il terrorismo, probabilmente però dietro c’è (come sempre) l’intento di difendere i propri fortissimi interessi economici. Questa infatti è una prassi che negli ultimi anni in Africa abbiamo visto molto spesso, ovvero azioni di strumentalizzazione e sfruttamento di contrasti e intolleranze interni (in particolare da parte di  Parigi\Londra\Washington)  per  ridisegnare o riconfigurare a proprio favore equilibri messi in discussione  in particolare dalla conquista  cinese del continente nero. 
Nello scacchiere incendiario africano sta prendendo fuoco anche l’Algeria. Gli ultimi tragici eventi si possono collegare alla questione-Mali? Quali altri Paesi africani potranno essere coinvolti in questo scenario?
Certamente sì, in quanto stiamo effettivamente assistendo a una regionalizzazione della crisi maliana in cui i ribelli islamici sono liberi di muoversi attraversando i vicini confini algerini, nigerini e mauritani.
Il ministro Terzi ha chiarito che il supporto logistico italiano non sarà militare. Come valuta la posizione del nostro Paese?
Mi trovo d’accordo ovviamente con Terzi e sulla decisione in linea con la posizione degli altri paesi europei e della Nato.
Da una parte lo scarno esercito maliano supportato dai francesi. Dall’altra i terroristi. Sarà una guerra lunga?
Credo purtroppo di sì a differenza di quello che pensa Hollande: nel senso che le difficoltà arrivano ora con l’intervento delle truppe di terra. E’ vero l’avanzata è stata bloccata, ma ora si prospetta una difficile guerriglia nella vastissima area desertica del nord in cui i gruppi islamici sono molto abili a spostarsi a bordo dei propri mezzi e nell’utilizzare la tattica del mordi e fuggi.
Lei cosa si augura?
Sono convinto che l’intervento dell’Onu e principalmente della Francia fosse inevitabile in quanto le forze del governo maliano erano insufficienti per bloccare e respingere l’avanzata da parte degli islamisti che stanno mettendo a dura prova la vita degli abitanti delle zone occupate. Diversi mesi sono stati spesi inutilmente a vantaggio degli integralisti, proprio perché le parti in causa in particolare i paesi dello Ecowas non riuscivano a mettersi d’accordo sui termini della missione. Ora ovviamente la priorità è il ripristino del controllo del territorio e la sua messa in sicurezza. Ma il secondo step di fondamentale importanza secondo me, sarà quello di non dimenticare la causa Tuareg facendo sì che il futuro governo centrale se ne occupi realmente mantenendo gli accordi per una maggiore autonomia, un maggiore coinvolgimento politico e soprattutto un investimento economico reale per uno sviluppo strutturale  della vasta area del nord. Cercando in questo modo di dare speranze alle nuove generazioni con azioni concrete, facendo in maniera che i territori tuareg non siano invece terreno fertile per i gruppi integralisti . La forza di questi gruppi infatti sta proprio nello sfruttare la disperazione e l’alienazione da parte degli abitanti delle zone più remote che non vedono nessuna altra speranza di miglioramento di vita che le promesse fatte da queste flange armate. 
Grazie Raf.
Grazie a lei, Mlòn.
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