La soap Mancini-Sarri, come da tipica popolar telenovela pallonara, sta toccando vette che sfiorano la tragicommedia nazional popolare. Non solo napoletana. E non tanto per esclusivo usufrutto di incalliti calciofili de no’ altri. Vecchi scheletri del grande Mancio-accusatore che riaffiorano a distanza di tre lustri sul piatto caldo omofobo su cui tutti hanno mangiato, leccato, e poi sputato con aspra destrezza felina. Classiche latenti insurrezioni vesuviane che invocano gombloddoni ritriti e una Spectre nordista e autocommiserante che manco nell’Ottanta irpina, condita con altrettanto soliti stendardi camurriosi dei kapo-clan ultrà solo per dar profondità alla già assai vorace buca sarriana di Castel Volturno. Che fanno il paio con sì tante fuoriuscite di pipì di autorevoli opinion leader partenopei che per salvare capre, finocchi e campanile si attaccano con leggera tenerezza a desuete destabilizzazioni territoriali che neppure i peggiori medieval Montecchi e Capuleti. O ancor peggio ad improbe teorie vessatorie d’accusa propinate con il solo intento di difender l’orticello di coorte e smontar costi quel che costi
le infamanti accuse di oltraggio all’intoccabile rettangolo di gara azzurro, producendo solo danni al cubo alla già strafottuta reputazione e cultura campana; per di più nella virtuosa e maggiorante ribelle Napule per bene che ogniddì soccombe suo malgrado sotto la quotidiana cortina di mulini lanciati verso il miraggio dell’antinapoletanesimo più irritante, sortendo il solo effetto di accrescere la merda spalata e sparata sul vento dei propri figli.
Continuando il bestiario sarrimanciniano con le boiate sesquipedali dei tifosi pubblici del Belpaese, che sentono l’esigenza irrefrenabile (e non richiesta) di dir la loro per partito partigiano preso, col mero obiettivo personalistico di rafforzare posizioni o visibilità oramai finite nel portafoglio dei fondi dormienti. Come la giovine balena bianca Diccì che pensa di sdrammatizzare facendosi scudo con la teoria ecclesiale del bestemmione, ancorandasi a principi da catecumeno incallito che professano con fierezza la sottomissione della donna, il proibizionismo sodomita anche tra gli etero, financo al negazionismo fondamentalista della funzione salvifica del preservativo, considerato tra le altre follie scomodo e non propriamente stimoltante. O come un’oramai vetusto e viril missino
passato di moda che vede nella querelle un regolamento di conti del destino, frapponendo le ideologie destrorse alle tre giornate di squalifica a Felipe Melo; risparmiandoci almeno cavallette, ventennio e guerre puniche. Oppure oibò come le scaltre e anacronistiche AssoGay che vedono un enorme spiraglio per promozionare la Legge Cinnà, e tirano il Robby per la giacchetta di cashmere con la speranza che il grande sponsor meshato si unisca a loro nella solita inconcludente adunata civilistica da piazza.
Poi c’è il mondo del Pallone. Che preferisce non proferir verbo. Forse per non offendere i democristiani tirati in ballo da Sarri. L’unico che si espone, come di sua sponte forte e chiaro, è il solito pennellone Malagò, che condanna e rimbrotta mister-gavetta anche e soprattutto per quella montagna invalicabile di Se, Ma e Però con cui mister Maurizio ha farcito la propria difesa-boomerang. Tutto il resto della combriccola è noia reticente. Dal Pres ADL che preferisce lasciar sbollire, tanto poi si sa che nel Belpaese le cazzate hanno le gambe monche e tutto finisce sempre a tarantella e vino. Per proseguire con la flotta dei coach di serie A, da cui francamente non ci si poteva aspettar nulla più di zero, pensando alle inutili badilate di ovvietà che ci propinano ognissanta domenica. Finendo poi col botto dell’Assoallenatori, che per voce di Renzaccio Ulivieri ci ribadisce a chiare lettere sanguigne quale sia il livello militare invalicabile del calcio nostrano: “Mancini? Io dissi: Portami tua moglie”.
Così, tra ipocrisie d’ogni genere, sessismi e pentiti omofobici non razzisti, si è già perso il senso ed il segno indelebile che ha portato la meritoria sortita del più glamour dei tecnici italici in un gelido martedì di coppetta italiana. Vale a dire il netto ed incontrovertibile tentativo di abbattere una delle più possenti, retrograde, giurassiche, conservative, medievali, cavernicole, omertose e becere barriere che il sistema da cameratismo pallonaro abbia mai scalfito in oltre mezzo secolo di professionismo calcistico tricolore. La volontà di disintegrare il pregiudizio primitivo e primordiale che garantisce l’assoluzione con formula piena a chiunque usufruisca della famigerata e salvifica “legge del campo”, che è sempre stato un condono morale, sociale e fisico di qualsiasi nefandezza fosse avvenuta all’interno del rettangolo. Una sorta di patente di verginità perenne ed illimitata che copre ogni affiliato al club “Dove tutto è concesso”. E garantito. Dagli scommettitori neri ed incalliti ai dopati gonfi e cronici, dai galantuomini ultrà fino a quei vulcanici simpaticoni di mister e presidenti intolleranti a froci, lesbiche e altri gender non meno identificati. Un enorme ed impunito carrozzone dei balocchi dove regna l’insulto, il ricatto ed cameratismo più subdolo e idiota. Dove un’intera squadra di professionisti è costretta una domenica sì e l’altra pure a beccarsi sputi e minacce gratuite sotto le gradinate di casa loro, mentre allenatore, società e forze dell’ordine sono costrette a starsene in panchina. A guardare. Con mutismo e rassegnazione.
A questo si è ribellato il Mancio, al di là di frocio e finocchio. E parte di questo mondo “democristiano” ha rappresentato il signor Sarri quando, seppur nella foga del recupero, ha scientemente offeso il collega. Sapendo e volendolo offendere. Con tali epiteti sferrati non certo a random. Con la certezza che il colpo andasse a segno, e che l’insulto arrivasse ben diritto alla chioma schiarita di quel Dandy vestito Armani, che magari ritiene un mezzo fighettino snob piuttosto che una mammoletta da red carpet, e che è arrivato in A senza passare dal via, mentre lui, uomo vero e cazzuto, si è dovuto sorbire un trentello di malsani e fangosi campetti delle peggio periferie di Sud, Centro e Isole.
Mancini ha fatto la cosa giusta, al netto di alcuni giudizi sulla radiazione dell’avversario che non spettano certo a lui, e quel “razzista” da risparmiarsi perchè totalmente fuori argomento. E ha proferito ciò che mai nessuno fino ad ora. Esternando il comportamento becero, vile, zotico ed incivile del mister attualmente campione d’Italia, professionista e assai ben pagato, che gestisce un gruppo di altrettanti venti e passa milionari del calcio, con annessi assai diritti ma altrettanti doveri. Tra i quali quello di rappresentare, anche e soprattutto col giusto peso delle parole e della comunicazione 3.0, una grande e gloriosa società di una delle principali imprese del Paese Italia. Che non puo’ certamente esercitare come un nerboruto e scapigliato ultrà da gradinata, che passa ciascuno dei novanta di gara a sgolarsi sboccando a più riprese e ingiuriando nome e memoria di ciascuna delle madri dei giocatori a lui avversi. Ci sarà vero una sottile differenza in questo, signor homo Sarri, no?
“ll calcio è diventato uno sport per froci”
E quindi sarà forse anche arrivato il momento, nell’anno di grazia zerosedici, di sdoganare la boiata pazzesca da anacronismo sapiens in cui all’interno del campo di calcio ogni parola, opera e omissione sia considerata legittima? Cioè, per assurdo, immaginiamoci un giocatore che durante una pausa di gioco confessa al compagno terribili stupri e omicidi in serie. Anche questo dovrebbe rimaner camuffato dentro il rettangolo di gara?! Oppure, mettiamo paradossalmente che fosse stato il Mancio ad insultar pesantemente mister Sarri, ad esempio con un ignobile napoletano di m…, che lo stesso coach partenopeo avrebbe poi riferito in sala stampa. Pensate davvero che la massa di Castel Volturno si sarebbe trincerata silente dietro lo scudo della legge da campo?! O magari sarebbe insorta per più di un mese portando in trionfo l’eroe toscano come nuovo simbolo della ribellione napoletana contro il resto dello stivale razzista? Questo, e tanti altri esempi da scuola asilo, ci fa capire quanto sia assurda ed insensata tale consuetudine pallonara, perchè potremmo alzare all’infinito e a nostro piacimento l’asticella dell’orrore, e perchè basta un semplice insulto od ingiuria capovolta affinchè tale ridicolo apotema crolli miseramente come neve ai tropici.
Ora, all’indomani della scontata e obbligata accettazione delle scuse sarriane da parte di Mancini e dell’Inter tutta (che però è un po’ come dire avemo solo scherzato), dopo che lo stesso mister jesino avrebbe smentito l’epiteto a un giornalista della Gazza nel lontano 2001 (sia chiaro, se l’ha detto, stesso livello di Sarri, ma non è che l’insulto di ieri condona quello di oggi), e in seguito alla grottesca e non certo esemplare sentenza che condanna il tecnico partenopeo a due giornate (tra l’altro da scontarsi in Coppa, altra boiata, ndr) perchè senza l’outing del Mancio l’offesa si derubrica a generica, senza poi contare le ormai remote e farsesche arrampicatute dell’allenatore toscano nella conferenza del dopo-shock, e poi ancora alla consegna del Tapiro, quando ha provato a buttar tutto nella classica caciara dell’amico frocio (come se aver amici gay esonerasse dall’omofobia) invece di tacere e attender la sanzione, ecco che d’un tratto ci pensa nienpopodimenochè il fantomatico segretario della rinata DC (al secolo Democrazia Cristiana Nuova) a riportarci tutti ben saldi dentro il nostro caro beneamato e circense pianeta italico. A farci capire che forse anche questa guerra di campo e di genere finirà a tarallucci e vino. E che non sono poi così lontani i tempi di Opti Pobà, delle quattro lesbiche handicappate e degli ebrei da tenere ben a bada. Che ci ricordano che sor Carletto Tavecchio è ancora lì, bello pacioso e saldissimo sulla sua poltrona di comando del milionario mondo del Pallone. E che anche lui, nonostante Sarri, Mancini, froci e finocchi, non è che un altro democristiano della prima repubblica.
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