Il parallelo è tanto clamoroso quanto scontatamente impietoso e realissimo. Re Silvio non c’è più, ma si ostina bofonchiamente a rimanere in carreggiata, danneggiando e distruggendo due giocattoli che hanno già fatto il loro tempo, e che non aspettano altro che quel naturale e celere passaggio di consegne. Che non arriva, perchè mister B. preferisce perdere tempo vitale e caracollare orgogliosamente, vedendo liquefarsi davanti a lui le sue più care e salvifiche creature. Colpevolmente. Meritatamente. Stupidamente.
Milan e Pdl stanno in queste ore seguendo lo stesso drammatico percorso da zona retrocessione. E da encefalogramma più piatto del seno di Victoria Cabello. L’11 di Allegri ne prende tre all’Olimpico e si trova a distanza assiderale (15 punti, ndr) dagli odiati bianconeri, e con solo due incollature dallo spettro B (ma con un partita in più). Il partito che – seguendo le orme veltroniane – contribuì alla composizione assoluta e nettissima del sogno bipartitico italico, arrivando a sfiorare quota 40 italiani su 100, oggi si trova angosciosamente nelle retrovie, quasi doppiato dal Pd, sverniciato da Grillo, e con una tendenza che lo porterebbe a ridosso delle elezioni montiane al di sotto della doppia cifra di galleggiamento. Il colpevole di questa debacle senza fine da inferno dantesco? Uno solo: Silvio sua maestà Berlusconi.
Non ci voleva un fenomeno come il mago Otelma per capire che dopo la più che onorevole caduta del Silvio Quater, il (o la) Pdl sarebbe andato incontro ad una fuga a mo’ di diaspora di un’enorme fetta di elettorato. Un partito che – seppure per colpe non interamente sue – aveva portato al dissesto dei conti pubblici ed uno spread a livelli marziani, senza per altro adottare nulla del millantato liberale propagandistico, era più che la palissiano che avesse dovuto rifondarsi in toto, da capo a piedi, dai tacchi interni al botox facciale. E invece, dopo aver bruciato un buon soldato senza quid come l’Angelino ombelicale, mister B. inizia uno stucchevole e deleterio balletto sulla sua possibile riscesa in campo. Passando dai tempi del silenzio (twittati) alla cura dimagrante nel resort keniano dell’amico Flavio. Da fantomatici repack in stile Grand’Italia alla ricomposizione del grande minestrone dei moderati italici, mettendoci dentro di tutto e di più, da Casini a Montezemolo, dall’odiato Fini a Vittorione Sgarbi, dalla Lega a Giovanni (opps, Giuliano) Ferrara. Così, tra il rincoglionimento più totale del suo padre padrone ed il marasma di Regionopoli, dentro il Pdl si latita e si gongola sempre più nell’anarchia. La Minetti se ne strafotte dei consigli di Angelino – che ha l’autorevolezza pari a quella di Topo Gigio – e la Santanchè, in un raro momento di lucidità starnazzata, chiede la testa di tutto lo stato maggiore azzurro, per fondare e rifondare chissà quale contenitore plastificato in superficie. Nell’attesa che prima di Natale si riunisca la congrega pidiellina, ed il Capo se ne esca incaponito con un’altra assurda ed inconcludente invenzione favolistica. Senza sapere che è già tutto finito, da oltre un anno. Senza capire che questo errare donchisciottesco non farà altro che prolungare l’agonia ed il dissanguamento di quello che è oramai diventato l’Halloween della Libertà. Che giace inerme al museo delle cere.
Così come a Palazzo Grazioli, anche in via Turati gli errori dell’ultimo periodo berluscones sono stati grossolani e la gestione rossonera ben poco lungimirante. Dopo la vittoria continentale 2007 targata Pippo-Carletto, quella squadra vecchia ed assai spremuta andava rottamata quasi per intero. Ma Silvio non volle, e preferì gigioneggiare tra una figurina a fine carriera ed un prestito usato-sicuro low cost, fino alla ciliegiona Ibra ed il titolo del buon Allegri. Poi, ingolosito dalla doppia cessione parigina, Pres. Silvio decise che il mister livornese avrebbe dovuto fare i nozzi con delle mezze lumache, consegnandogli la solita campagna last minute. Sta volta, però, condita da semi-cartucce del calibro di Pazzini, Bojan e De Jong, dopo i “roboanti” innesti dei funamboli Constant e Traorè. Un po’ come quando l’ingenuo Oronzo Canà – circuito ed illuso con gli altisonanti Zico, Junior e Maradona – si ritrovò con la coppia Sella e Cavallo e mezza squadra svenduta. E lo stesso sta facendo Re Silvio, illudendo follemente la piazza di essere ancora competitiva, e massacrando di responsabilità un tecnico che si trova per le mani una rosa da Intertoto (eufemismo, ndr). Per non parlare dei danni economici incalcolabili derivanti dal doppio intervento presidenzial-amoroso a congelare la trattativa Pato-Psg, che non più di un anno fa costò al Diavolo 35 milioni cash oltre ad un’ottima pedina come Carlos Tevez. Mentre oggi a Milanello si ritrovano a gestire un caso umano, quello di un calciatore troppo cresciutello che ogni volta che zompa s’inforntuna, e che non vale più di 6-7 milioni di euri. Pagabili a rate e spalmati in cinque anni.
Queste le conseguenza irreparabile dell’ostinazione orgogliosa e ben poco realista del Cavaliere errante. Che non ha voluto capire che se si persevera troppo alla fine ci si scotta, e ci si fa male. E che il momento migliore per andarsene è quando sei all’apice. Come nello scudetto 2011. O quando sei caduto senza danni. Come nelle dimissioni e l’indolore passaggio di consegne a Full Monti. Quello è il punto di saturazione. Quella è la linea di demarcazione. Oltre la quale orgoglio e ostinazione si trasformano in rovina e distruzione.
Silvio vattene!
giorgio
cazzo che cerone, è peggio del buon vecchio Joker!!! Silvio, rimani
Francone