Napoli Monnezza esiste. E non cambierà mai. Perchè non vuol ribellarsi. Napoli Monnezza non è ai lati delle strade sotto forma di indifferenziata o d’umida spazzatura. E neppure è la parte più consistente della metropoli partenopea. Napoli Monnezza è la minoranza assoluta. Ma è quella più chiassosa. Quella più in vista. Quella che offusca la maggioranza silente che, colpevolmente, non reagisce e soccombe al camurrioso regime di normalità imposto dai primi. Perchè tutto cambi. In maniera che nulla possa cambiare.
Questa è la Napoli targata zeroquattordici, che impone omertà e urla sempre e solo a senso unico. Verso le Istituzioni. Verso la politica. Verso il primo od ultimo Governicchio di turno. Per evitare il problema. Per eludere l’ostacolo. Per trovare alibi su alibi all’evidenza criminale. Per minimizzare. Per educare alla giustificazione perenne di chi ha reso questa terra un cancro sociale e terreno invalicabile. Per sbraitare la loro ridicola teatrizzazione del Male come fosse una regolare smorfia che sbeffeggia tutta l’immensa napoletanità per bene. Perchè non ci si possa mai neppure permettere di pensare ad osare minimamente contro il bifolco delinquente incallito che comanda. Perchè l’onore è più importante del rispetto. Perchè Genny ‘a Carogna è più importante dello Stato. Perchè Gennaro – lì dentro alla palude – è il fottuto Stato. Ma guai a dirlo. E tanto meno a scriverlo.

Così accade che chi – come no’ altri – s’incazza di brutto davanti alle parole di una madre che, dopo aver perso il figlio, esprime quasi solidarietà a quel galantuomo farabutto di Gennaro La Carogna, viene addirittura accusato di aver infangato l’anima di Ciro Esposito, la persona di mamma Antonella, e l’immagine di Napoli tutta. Quando invece, purtroppo e mannaggia, è vero solamente il contrario. Perchè il povero Ciro, oltre che da un vile e forse difensivo serramanico romano, è stato ammazzato anche dalla sua stessa amatissima città. Non dalla magnificenza e dalla straordinaria accoglienza di un popolo che meriterebbe di stare al top di ogni classifica economica e sociale. E neppure ovviamente dalla maggior parte degli “azzurri” per bene. Quelli che lavorano onestamente mantenendo ampissime famiglie in mezzo al degrado terzomondista più totale. E che poi magari son costretti a lasciare l’obolo e la dignità tutta a qualche nerboruto signorotto in stile Genny.
No. Non questa Napule ha ucciso Ciro, cari nostri giornalisti sordo-ciechi. Il signor Esposito – neppure lui un gran stinco di santo, occorre dirlo – è stato accoltellato anche dagli usi, i costumi, le consuetudini ed ogni altra infinita e “regolarizzata” abitudine che è quell’immane tam tam di costante e quotidiana illegalità napoletana. Che ti entra dentro fin dai primi vagiti di guagliò. Che ti si inerpica nelle incrostazioni del degrado adolescenziale. Che ti si impregna indelebilmente nella fase adulta. Insieme alla consapevolezza che quello sia il mondo reale. E che questo rappresenti il giusto. Fino a quando non ci si rassegna alla Monnezza. Normalizzando ogni scaraffone. Gridando al complotto pluto giudaico massonico di Stato. Sprizzando vittimismo da ogni poro. E strizzando l’occhio all’omertà. Passiva, certamente. Ma pur vile. Che indirettamente sta dalla parte di Genny. E della Camorra tutta.
“SONO INDIGNATA PER L’ARRESTO. AVREBBE DOVUTO AVERE UN PREMIO”
Così a Napoli diventa normale e normalissimo vagabondare a 13-14 anni in motorino alle 3 di mattina. Caricati in tre. Rigorosamente senza casco. E ancor più normale ed ordinario che a bordo di questo scooter – ovviamente di default senza bollo ne’ assicurazione – viaggi un noto delinquente latitante notissimo alle forze dell’ordine. Come è lapalissiano che sia normale e regolarissimo non fermarsi ad un Alt! intimato dai Caramba di quartiere. E così come fuggire a tutto gas dagli sbirri brutti sporchi e cattivi. Tanto che – in questo marasma di assurda ed inconcepibile normalità illegale napoletana – la probabilità di poter incappare in un morto ammazzato durante un inseguimento con criminale in sella – a no’ altri – pare assai elevata.
Ma non nella Napoli Monnezza. Dove a distanza di poche ore dalla morte di Davide Bifolco si scatena l’enorme carrozzone burlesque contro polizia, carabinieri e annessi. Magliette inneggianti al “martire” Davide, e ingiurianti Madama e connessi. Stampate a tempo di record (roba che manco la Camorra..), pronte all’uso per la prima diretta pomeridiana, e già rodate per il gran finale di Matrix. Dove una folla da stadio gremisce le gradinate del collegamento, capitanata dal cugino di Davide, che arringa la curva sgranando l’ugola contro il solito ritrito Stato, inneggiando al Bifolfco come simbolo di un’assurda e farsesca teatralità populistica e reticente. Che arde di riflettori e reality. E che neppure un mezzo mea culpa davanti all’ovvio evidente e tangibile illegale. Che fa solo danni alla memoria del morto. E che distrugge – forse irrimediabilmente – la reputazione e l’immagine di una città già allo strazio e oramai senza più regola alcuna. Che spinge i suoi ragazzi a beccarsi pallottole in fronte. E che non vuole e non sa ribellasi al bizzarro delirio d’onnipotenza dell’Altro Stato.
Uccisione Bifolco, arrestato il latitante Equabile
Ma non finisce qui. Perchè Napoli Monnezza continua a contribuire imperterrita nella mietitura assurda ed inconcepibile di vittime inermi ed innocenti. Come il povero ragazzo 14enne di Pianura, la cui unica ma disarmante colpa era quella di esser obeso, braccato da un mini branco di mascalzoni criminali che lo hanno prima seviziato, poi deriso, ed infine infilatogli nel deretano niente meno che una pistola compressore. Soffiandogli dentro, dilaniandolo per sempre, tanto che dovrà portare i segni di tal folle mostruosa demenza assassina per il resto dei sui giorni terreni. In un’atto di tale barbarica e vil ferocia che non è certo solo di queste parti. Ma che ha scatenato l’ancor forse più sdegnosa e disgustosa mostrificazione della quotidiana normalissima monnezza napoletana. Rappresentata, nel suo perfetto tragediare per antonomasia, dai tre vergognosi genitori dei ragazzi carnefici, che si catapultano immediatamente per strada al sentir l’odor mediatico. Minimizzando e scandendo al massimo volume e nella loro spavalda e incomprensibile dialettica che quello accaduto “Era solo un gioco!”, che i ragazzi (peggio, uomini) “Non sono assassini”, e che trattasi di fatale casualità e di banalissimo scherzo. Con un leggero significante particolare che per poco la vittima sacrificale ci rimetteva l’intero intestino. Coi connotati annessi.
Ecco – cari giornalisti e signori della carta stampata o digitale – che vi prodigate nel massimo indigno sforzo ed incazzo verso coloro che sfiorano l’apparenza amoralizzante della Vostra pur meravigliosa città. Ecco – signore e signori della Napoli per bene, laboriosa, legale e rispettosa di leggi e vero Stato – iniziate Santiddio a ribellarvi a squarciagola sin da ora e ognissanto giorno fino alla morte anche per questi padri e queste madri monnezza, che pur di mantener lo status quo dei loro diritti d’onore acquisiti, difendono platealmente figli mostri e malviventi anche davanti a tali efferatezze che fanno rabbrividire e accapponare. Che invece di educarli e punirli a dovere per le loro infinite malefatte, li lasciano vigliaccamente scorrazzare al loro già segnato e misero destino, nel degrado e nell’illegalità comune quotidiana. Compatendoli, e abbandonandoli. Fino a quando la Napoli Monnezza non se li prende e se li porta via. Assieme a furti, morti e Genny ‘a Carogna. Uccidendoli. Nella massima assoluta normalità. E per sempre.