Non vi era ombra di dubbio alcuno che la presidentissima Boldrini avesse utilizzato la querelle Boschi-Raffaele per il suo vacuo progetto razzial-ipocrita denominato”Patologia sessista 2.0“. Volto a censurare ogni tipologia di satira rivolta verso una particolarissima e selezionatissima schiera di Donne prescelta dalla Signora Presidente. Perchè la doppiopesista tagliola boldrina made in Corea (del Nord) funziona proprio così. Se ti chiami Santanchè, Carfagna, Biancofiore, Rossi, Pascale e compagnia cantante amazzoni, lo sfottò crudo e pesantissimo non solo è ben accetto e ultra legittimo, ma anzi rappresenta pure uno strumento per scardinare amorali e volgarissimi servilismi machisti verso il padrone di turno. Che solitamente risiede dalle parti di Arcore.
Se invece lo stesso trattamento ironico televisivo (per giunta in salsa assai minore e parecchio più all’acqua di rose) si rivolge alle nuove eroine della compagnia fiorentina di Palazzo Chigi, oddio chiribbio apriti cielo! Sacrilegio. Profanazione indebita di sarcofago giovine renziano. Ingiuria inammissibile. Congiura anti-regime inaccettabile. E via di presenziate televisive da Nonna Rai. Che oramai rappresenta il pisciatoio ufficiale e confessionale pubblico per gli argomenti anti-sessisti a difesa della Razza boldrina.
Argomenti che per l’ennesima volta non stanno ne’ in cielo ne’ in aula. Perchè, al di là della commiserevole e pacchiana doppia morale, il problema satira-sessismo rimane la solita boiata di fantozziana memoria. Perchè, semplicemente, non esiste. L’imitazione dell’ottima Virginia Raffaele alla bollicinosa Boschi, oltre che spassosa e non certo pungente come ben altre, non è che ironia libera e legittima applicata ad un personaggio pubblico in rampa di lancio. Producendo pure alla neofita giaguara un surplus di popolarità e maggior bacino elettorale. Altrochè sessismo o danni collaterali all’angelica figura della principessa Boschi. Che, diciamoci il vero, sino ad oggi ci ha illuminato d’immenso con il suo bel visino acqua e Leopolda, i suoi tacchi maculati e quel gran tailleurino blè spianato (chissa perchè?) propria alla nomina ministeriale. Ma per il resto, un bel gettito a vuoto continuo di bollicine saponate sul compitino scritto da Don Matteo e studiato a memoria a casa Madìa.
E allora, finiamola con sta panzana del finto sessismo che garantisce solo gli amici, e che fotte e sfotte tutti gli altri. E piantiamola con sta fregatura solenne e discriminante della parità di genere. Che quello femminile manco richiede e ricerca. Perchè le donne in Italia comandano già, come e più degli uomini, e certo non si sognerebbero di ottenere d’emblée, per decreto, un diritto inalienabile che vogliono e sanno conquistarsi sul campo. Da sole. Col merito. Nella loro autonomia emancipata oramai da decenni. Senza quell’insolente ed offensiva norma che non farebbe che regredirlo, il loro status di donna. Affermare che nel Belpaese la metà della popolazione è femmina e perciò ad essa spetta la metà dei posti di comando è allucinante e anacronistico al tempo stesso. Della serie “prima la razza e poi capacità, valore e competenza”. Una sorta di raccomandazione fanatica e (questa sì) sessista decisa nelle secretate stanze della Camera dei Deputati. In Montecitorio a Roma. Ma è come se fosse a Pyongyang.
Laura ancora sulla boiata-parità di genere
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