— a cura di PJ, economista criptico —
La moneta è ciò che utilizziamo per pagare gli acquisti, quindi condizione essenziale perché svolga la sua funzione è che essa sia generalmente accettata. Assolvono a questa funzione non solo le banconote, ma diversi mezzi cartacei (assegni) e plastificati (bancomat, carta di credito) collegati ad un conto corrente o anche semplicemente ad una linea di credito, quindi il credito erogato dalle banche commerciali e ogni deposito, deve essere generalmente considerato una componente della moneta.
In una società evoluta queste sono di gran lunga la componenti più importanti. In fin dei conti la moneta è sostanzialmente una creatura dello “Stato”, il quale può rendere generalmente accettabile quasi qualsiasi cosa esso scelga, indipendentemente da una connessione con l’oro, chiedendo che venga utilizzata per il pagamento delle imposte. Peculiarità dello Stato sovrano è proprio la possibilità di creare mezzi monetari e spendere a deficit per sostenere la domanda interna, pagando stipendi o con acquisti da fornitori privati.
Per converso quando questo non è possibile, a causa di vincoli quali pareggio di bilancio, impossibilità di stampare e limiti vincoli al debito, lo stato deve tassare prima di spendere. La depressione si verifica quando l’ammontare della spesa è insufficiente, ad esempio perché la moneta è concentrata nelle mani di pochi privati, non sufficientemente stimolati a spenderla (anche solo perché più di tanto è difficile consumare). Mentre si può creare inflazione se l’ammontare della spesa, sorretta da una moneta ampiamente diffusa, è eccessiva rispetto ai beni disponibili. Grazie al potere di creare moneta o alla possibilità di sottrarla ai cittadini per mezzo delle imposte, lo Stato può – in principio – regolare il livello di spesa nell’economia in modo da evitare pesanti recessioni e limitare picchi di inflazione.
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Le due principali scuole economiche sembrano dividersi soprattutto sulla diversa rappresentazione della moneta: da una parte chi si focalizza soprattutto sulla sua funzione di mezzo di pagamento e dall’altra chi la considerano soprattutto come riserva di valore. Queste due funzioni, ovviamente, sono in antitesi. La prima è funzionale ai debitori mentre la seconda è la visione tipica dei creditori. I debitori sono interessati ad una moneta sufficientemente disponibile a soddisfare le esigenze quotidiane di pagamento e di rimborso dei debiti. Chi invece ha accumulato ricchezze o crediti è interessato a mantenerne il valore il più possibile inalterato nel tempo, per utilizzarlo nel futuro, ed è restio che venga prodotta e distribuita in modo ‘smisurato’ per renderla disponibile a tutti.
La moneta è quindi il terreno di scontro nella perenne battaglia tra creditori e debitori. Tra le scuole economiche, i neo-classici, capeggiati da M.Friendman, prendono le parti dei creditori adottando un’impostazione quantitativa della moneta – retaggio della moneta merce – e sostengono che il compito della banca centrale è controllare l’inflazione limitando la crescita della ‘quantità di moneta’ in circolazione, dietro l’assunto che questa sia effettivamente la causa dell’aumento dei prezzi (inflazione). Questa impostazione si scontra fin da subito con
svariati problemi, non ultimo la difficoltà di definire la quantità di moneta da controllare.
Secondo il pensiero classico, la banca centrale controlla la quantità di prestiti che le banche possono erogare fissando la base monetaria sulla quale – nel loro schema – questi sono erogati diverse volte secondo un meccanismo noto come “riserva frazionaria”. In questo approccio i depositi vengono prima e i prestiti poi. Il ragionamento è allineato al senso comune in cui il denaro deve essere disponibile prima di essere prestato.
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Il controllo delle masse monetarie avviene qui con politiche monetarie restrittive e fiscali recessive, che rendono più durature e profonde le recessioni. All’opposto, i neo-keynesiani sostengono che siano le banche commerciali, con i loro prestiti, a creare i depositi. La moneta sarebbe quindi generata internamente al sistema e si adatterebbe alle dimensioni dell’economia: i prestiti sono erogati sulle esigenze economiche delle imprese che ne acquisiscono disponibilità con il relativo deposito. La moneta sarebbe dunque creata dalla domanda di credito del sistema economico. Secondo questa impostazione, il rimborso del debito comporta una eliminazione di moneta dal sistema e, di conseguenza, una forzata riduzione della domanda.
Le politiche monetarie restrittive (tassi alti) e fiscali recessive (tasse alte) funzionano perfettamente anche in questa cornice, riducendo la capacità di spesa delle famiglie e la propensione al debito, dunque la moneta in circolazione. Inoltre, sempre secondo l’interpretazione neo-keynesiana, il legame tra moneta e inflazione è più complesso e meno deterministico di quanto i monetaristi vorrebbero far credere. Secondo i neo-K, un’eventuale crescita dell’offerta di base monetaria (le riserve bancarie) da parte delle banche centrali, oltre l’effettivo livello dell’economia, non dovrebbe causare un sensibile aumento della quantità complessiva di moneta né il corrispettivo aumento dell’inflazione se non innesca anche una crescita dei redditi, incrementando effettivamente le dimensioni dell’economia.
Questo è proprio quello è successo con i 2 mila miliardi di dollari di riserve forniti dalla FED, come evidenziato nel grafico. Il forte aumento di base monetaria determinato dalle politiche espansive della FED, successive alla crisi Lehman, non ha avuto un impatto significativo sulle masse monetarie (stock M2) e quasi nessuno sull’inflazione, che durante una crisi di domanda è di solito molto contenuta. Ci sono evidenze a sostegno del fatto che l’inflazione sia guidata più dai costi di produzione che dalla base monetaria disponibile e, naturalmente, dalla distribuzione dei redditi, perché quando la capacità di spesa della popolazione è limitata, per qualsiasi motivo, gli acquisti sono forzatamente limitati. Quindi l’inflazione dipenderebbe più dalla disoccupazione e da squilibri salariali come da tempo va dicendo la Curva di Phillips, che dalla ‘rotativa’ della banca centrale, a meno che questa non infili i verdoni direttamente nelle tasche dei cittadini, come regalo, aumentandone appunto la capacità di spesa dal nulla.
Data la natura virtuale della moneta moderna, se scarseggia lo si deve quindi soprattutto ai modelli sbagliati (casualmente?) dell’impostazione economica corrente e alla guerra che una certa classe ha dichiarato allo Stato, nel tentativo di limitarne la presenza nell’economia a per potervi espandere i propri privatissimi interessi. Non mancano certamente elementi culturali a sostegno della terapia “dimagrante” per lo Stato. La paranoia del ‘balanced budget’ ad esempio, tipica della cultura tedesca, per cui i debiti sono ‘colpe’ (gulden) è molto utile alla classe dirigente di quel paese per mantenere bassi i costi del lavoro e inalterato il valore dei propri crediti commerciali. A questa dobbiamo aggiungere l’avversione interessata (coscienza sporca) per il ‘consumo improduttivo’, totalmente insensata in epoca di opulenza di beni, che rivela oltretutto una visione dell’economia errata a proprio favore, se c’è qualcosa da consumare qualcuno lo deve aver prodotto, generandosi così un reddito.
L’impostazione ideologica dell’alemanno si riferisce al fatto che il ‘consumo buono’ è quello relativo agli investimenti in mezzi di produzione mentre il consumo dei beni prodotti è ‘cattivo’, ma anche questi redditi sono; dimenticando poi se nessuno consuma non ha più senso investire e produrre. Il contenuto di questo articolo potrà sembrarvi stravagante o inverosimile, soprattutto se avete studi economici, e lo è certamente rispetto agli insegnamenti scolastici, ma vi basti sapere che mentre mi dilungavo nella stesura, due istituzioni prestigiose come Standard & Poor e la Banca d’Inghilterra hanno pubblicato lavori ufficiali sottolineando proprio il fatto che le banche
non devono raccogliere denaro per prestarlo ma al contrario, che generano i depositi prestando.
in effetti il paper della banca d’inghilterra citato dall’autore, cita
“Money creation in practice differs from some popular misconceptions — banks do not act simply as intermediaries, lending out deposits that savers place with them, and nor do they ‘multiply up’ central bank money to create new loans and deposits.”
il che spazza via in un solo istante tutta l’ideologia a sostegno dell’austerity.
Poi il motivo vero per cui si applica è un altro, e rimane