Ancora sciopero. Ancora generale. Ancora di venerdì. Echissà perchè. E ancora targato medioevo camussiano. Il settimo da inizio anno, con una media esageratamente folle di 0,6 cada mese. Senza contare gli innumerevoli parziali di categoria, e con quel benevolo fioretto della revoca del “ponte” del 5, evitando in zona Cesarini di far cader sor Susanna & co. nel massimo grottesco più ridicolo. Ancor più di quanto non lo sia già. Da un trentello a questa parte.

Più degli altri, e più di tutti, questo è sicuramente lo sciopero dell’inutilità, dello staus quo più conclamato, oltre che del nulla cosmico assoluto. Perchè il leggerissimo Jobs Acts è già passato. Perchè la riformicchia non sposta che di una virgola lo stato ampiamente privilegiante del lavorante italicus. E perchè, con tale moria recessiva a produzione zero, scioperare diventa, oltre che ininfluente, quasi un favore alle “nemiche” imprese e ai brutti sporchi e cattivi padroni d’azienda.

Cio’ che domattina inonderà strade, piazze e centri storici cittadini, impedendo a migliaia di onesti servi lavoratori di poter raggiunger il loro fantozziano ufficio e crear Pil anche per quest’ultimi, non è che l’ennesima manifestazione anacronistico aberrante di una parte di mondo politico in via d’estinzione misto a fancazzisti perdigiorno e delinquenti. Che vedranno nello sciopero l’ennesima ghiottissima occasione per far casino e ammazzarsi di canne, rendendo la vita impossibile alla brava gente che vuol dar un senso fruttuoso e prolifico alla propria giornata e a quella della sua prole. Ivi inclusi qui poveri martiri di commercianti, orologiai e fruttaroli che perderanno parte del loro vitale e consistente incasso settimanale. Che nessuno mai più gli rimborserà.

 

Jobs act, scontri al corteo di Roma

 

Come tutte quelle inermi vetrate di sportelli bancari o di jobs temporary, che verranno assalite e sfondate nell’assurdo nome del Bilderberg. Come quelle vetrine di McDonald e Pan&Company piuttosto che Nike o Benetton, che saranno infestate ed imbrattate con le peggio vernici indelebili, all’insulso e riluttante slogan anticapitalista che più ottuso non si puo’. E come quei poveracci inetti abitanti, cui verrà sbriciolata l’unica auto in loro possesso, o dilaniate finestre e portoni di casa. Perchè, sfiga loro, altamente colpevoli di vivere in mezzo al corso dei manifestanti, all’assoluta mercè di stolti studenti fuori corso figli di papà e anarchici-antagonisti-farabutti da centri sociali, che deturperanno magnifici monumenti e incolpevoli case private. Magari occupandole pure. Al grido balordo ed idiota di “La-vo-ro, La-vo-ro!”, “Ca-sa, Ca-sa!”, che non è altro che ignoranza galoppante allo stato alcolico e vacua spaziale inconsistenza tradotta in fumogeni, sassi, striscioni datati-Moratti e un’infinita scorta di erba svizzera e Cavicchioli nostrano.

 

«Con la precettazione il governo alza i toni»

 

Il medioevo camussiano è la simbologia plastica di una parte di Paese (all’apparenza in netto declino), che non vuole e non vorrà mai cambiare. Non tanto per. Ma nel vero senso, quello cioè di modificare le proprie abitudini di vita e lavoro rispetto ai tempi che mutano, e che già sono mutati. Da mo’. Moderni o antichi che essi siano. Ma attuali. Cui non ci si puo’ sottrarre nel nome di quell’astratta secolare lotta di classe che già negli Ottanta non andava più di moda nel Pianeta reale. Il medioevo camussiano è il più grande ed intoccabile dinosauro della peggior casta elefantiaca del Belpaese. Dove il principale sindacato italico è rimasto ancorato ed ammuffito alle magnificenze settantottine de La classe operaia va in paradiso. Contrapponendo ancora schiavi a padroni. Lottando contro i mulini a vento degli operai sfruttati e repressi. Distinguendo ancora il mondo tra i buoni lavoratori comunisti e i cattivi imprenditori nazi fascisti. Protestando da oltre un trentennio ad ogni manovra economica di qualsivoglia governo, a tutte le pseudo leggi del Welfare di qualsiasi colore politico, rifiutando di niet default qualunque tipologia di tavolo o confronto tra le parti. Perchè la proposta non poteva e non puo’ essere contemplata negli alti ranghi dirigenzial cigiellini. Perchè sarebbe significato la morte stessa della CGIL (Cisl, Uil ed altri annessi inclusi). Che da quattro decenni campa da nababbo  nell’ostracismo più parassitario e nel solo nome della protesta unita al No per statuto. Arricchendosi con Stato, Governi e militanti, che continuano ad illudere ed abbagliare ad ogni caldissimo autunno rosso, lasciandoli poi solissimi assieme ad un pugno di mosche millantate, e ai salari più bassi d’Europa. Chapeau.

 

Sciopero trasporti 12 dicembre

 

Il medioevo camussiano, ahi noi, è anche e soprattutto il lavoratore camussiano. L’homo italicus de no’ altri. Che se ne sta strafatto cinque anni fuori corso. Che entra in azienda e pretende subito il vitalizio. Che a Trenta pensa già alla pensione e allo scatto d’anzianità. Che fancazzeggia con la mamma fino ai Quaranta. Che s’inchioda alla sedia e guai a chi lo smuove almeno fino ai Cinquanta. Che si batte solo per l’abbassamento dello scaglione. E se ai Sessanta non smette minaccia di far chiuder la catena. Che per lui il lavoro è solo un diritto, e per giunta acquisito. E che i doveri lasciamoli ai “padroni”, o a quegli altri, servi come loro. Che “Oddio gli esodati! Che farò mai se perdo il lavoro a Quarantacinque?!” E che se lo perdono, è il Presidente che glielo deve trovare. E dare. Subito. Per diritto costituzionale, acquisito. Mica possono cercarselo da soli. E mica possono andare da Spizzico o a confezionar tinture. Perchè non è al loro livello. E perchè non è dignitoso. Perchè piuttosto il sussidio. E in piazza grande a protestare. Magari ad uno dei tanti venerdì da sciopero generale. Con cannone in mano e prosecchino alla tracolla. A spaccare tutto. Questa Italia marcia che non va. Questo Stato ladro e farabutto che manco sa dargli un posto alle poste. E questa maledetta flessibilità dei tempi moderni. Che pretende pure che non solo si cambi scrivania, ma addirittura mestiere.

E allora, aspettando il solito immancabile resoconto bellico del solito venerdì di ordinaria follia sindacale, non ci resta che plaudire al recente legittimo e dilagante astensionismo emiliano romagnolo alle ultime Europee. Un dato, al contrario di quel che ci hanno propinato Segreterie, Radio e Tivvù, assolutamente positivo e beneaugurante nel processo di annientamento dell’homo italicus camussiano. Finalmente un voto cosciente, strafottente, personale e non militante. Di un elettore non imprigionato nei soliti vecchi ritriti schemi da Primissima Repubblica, che sa scegliere con la propria testa, senza milizia e senza etichette. Un primo importante passo per sconfiggere quest’assurdo vezzo tutto italianao che è la sudditanza giurassica da tessera partitica. Un grande passo per abbattere questa immane muraglia culturale e ideologica che continua a zavorrare lavoro ed imprese. E un passo decisivo per sconfiggere uno dei più gravi ed inguaribili cancri del nostro Paese. Perchè l’Italia possa uscire dal Medioevo. Ed entrare finalmente nel mondo che le compete. Quello al passo coi tempi. Quello reale.

 

 

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