Una giornata così i canguroni australiani non se la dimenticheranno facilmente. Le due ruote portano la gloria, riscrivono la storia, confermano certezze fenomenali. La novità, ma solo fino ad un certo punto, è “bravo ragazzo”, simpatico quanto tenace, Cadel Evans, trionfatore per la prima volta, ed in assoluto per il suo enorme Paese, in quella che da sempre è considerata la più dura ed affascinante corsa a tappe della biciletta, la grand Boucle. 
 
Et voilà, monsieur Cadel, les jeux son fait! Per lui è una liberazione, che fino a sabato pareva essere diventata una vera maledizione, dopo le piazze d’onore del 2007 e 2008, che ne avevano segnato l’amaro sapore della sconfitta (si sa, il secondo è il primo dei vinti..).
 
Ma ciglione Cadel è tutt’altro che un canguro, è un leone da combattimento, da strada, anche da fango all’occorrenza. Pensare che i suoi inizi sono stati nella mountain bike, eccelsi ovviamente, con la conquista di due troni consecutivi di coppa del mondo (’98 e ’99), nella specialità cross country, non certo roba da fioretto. Ed in questo Tour l’attitudine alla sofferenza ed alla resistenza che porta dentro da quegli anni, sicuramente hanno rappresentato un’arma a suo favore, e più dal punto di vista morale e psicologico che da quello fisico.
 
Questo giro di Francia è la sua consacrazione, o forse come preferite il suo punto d’arrivo, anche perchè a 34 anni suonati è dura riconefrmarsi tanta è la concorrenza alle sue spalle; ma questo oggi non conta, perchè ora anche LeonEvans è nell’olimpo del ciclismo planetario.
 
L’ha vinto alla sua maniera, con grinta e spregiudicatezza australiana, ma anche con tattica e qualità europea. Astuto nella prima settimana, dove cadono e saltano quasi tutti come birilli, e lui è anche fortunato a starsene sempre alla larga. Roccioso e combattivo sui Pirenei dove non solo tiene botta e non accende mai il led del panico, ma sa anche attaccare e contenere gli strappi dei rivali. Sa essere anche calcolator-ragioniere, perchè in tre settimane alla media di quasi 40 km l’ora è necessario anche amministrarsi visto che, si sa, le crisi sono sempre dietro il primo tornantone (l’Albertone Contador ne sa qualcosa..), e la regolarità è sempre la carta vincente.
 
Dopo aver affilato le unghie e digrignato i denti nelle salite hors categorie, ecco il capolavoro della crono finale, un misto di potenza e tecnica purissima, condita da una fame allupata che gli fa girare gambe e testa come non mai, tanto da rischiare di finire davanti allo specialista Tony Martin. E la paura di vincere d’incato sparisce, e con sè la maledizione del secondo. Eccezionale veramente.
 
A cavallo tra domenica e lunedì, sulle note americane di Laguna Seca, arriva puntuale l’ennesimo sigillo di bimbo-timido Stoner, lui sì consolidato canguro delle piste della MotoGp, ed anche lui stranamente prima attendista e ragioniere, poi colpitore ad effetto con un sorpasso all’esterno che sa di antologia, e che lo rafforza ulteriormente nella corsa al titolo duemilaundici. Razional adrenalina.
 
Cadel e Casey, tanto diversi quanto lontani, ma alla due lati dello stesso medaglione, di un continente che sta rompendo le gerarchie occidentali delle due ruote, e che vede zompare i suoi canguri alati come mai aveva osato nella sua storia recente.
 
 
 
 

 

 

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