Una sentenza ampiamente prevista, una sentenza tutta italian style, una sentenza che butta nel cesso quattro anni di investigazioni e lascia liberi “per non aver commesso il fatto” i due maggiori indiziati che in prima istanza si erano beccati rispettivamente 26 anni lei, 25 lui. In pratica, un colpo di spugna totale, dal quasi ergastolo alla libertà assoluta, tanto che Amanda ha già pronte interviste milionarie da parte degli assatanati network americani, mentre Raffaele è diretto verso la costa pugliese, a riassaporare il legittimo sapore della libertà.
 
Si chiude, così almeno pare, il più mediatico dei processi nostrani, con sentenza passata in mondovisione, e che ha coinvolto l’opinione superpubblica di due tra le superpotenze mondiali, Inghilterra e Stati Uniti per l’appunto. Parecchio delusa la prima (super gaffe del Daily Mail, che annuncia la colpevolezza dei due), entusiasta e sollevata la seconda, con appelli e ringraziamenti pubblici della sorella di Amanda all’intero comparto della giustizia italiana.
 
Ecco, la giustizia italiana, forse l’unica davvero colpevole in tutto questo fracasso di prove, controprove, Dna, coltelli e scarpe infangate, che va avanti da quattro lunghissimi anni. E’ il solito sapore agrodolce di tutto quello che avvolge le sentenze di casa nostra, dove alla prima si accusa e si spara il massimo (o quasi) della pena, perchè tanto poi c’è sempre l’appello in cui si può riaggiustare tutto, all’italiana ovviamente. Non sono, nella maniera più assoluta, nelle condizioni di poter giudicare un iter processuale, le tesi accusatorie e non, gli indizi e le prove a carico dell’uno o dell’altra, perchè non vi è materia che sia tanto più distante dal mio interesse dalle mie competenze, per lo più in un ginepraio come quello di Perugia, in cui viene ripercorso e rivisitato il luogo del delitto più e più volte.
 
Ma mi sovviene la legittima e naturale sensazione che sia un assurdo tutto italiano quello di uccidere persone per buona parte della loro vita, per poi farle resuscitare e reintegrarle così, en passant, con formula piena. Prove che non son più tali, investigatori che succedono ad altri, ed alcuni che forse, si dice, abbiano inquinato le stesse (in stile Taormina a Cogne, che di notte se ne andava calpestando per la villa). Poi, ancora, inquirenti che smentiscono i lavori precedenti, e questo vorrebbe dire che ciò che è stato fatto fino a quel momento è da cestinare, con piste e presunte tali che si sovrappongono e si confondono tra loro. Non ci si meravigli, quindi, se il risultato di questo frullato tutto made in Italy è quello di riconsegnare all’aria aperta due ragazzi ai quali sono stati levati quasi 1500 giorni della propria esistenza; mentre, dalla parte opposta, c’è lo sbigottimento più totale di una famiglia (i Kercher) a cui di colpo viene tolta la certezza dell’esistenza degli assassini della loro giovane figlia. 
 
Così, per incanto, il corpo inanime e martoriato della povera Meredith non ha più alcun colpevole. Neppure l’ivoriano Rudy Hermann Guede, condannato definitivamente in appello a 16 anni dopo aver richiesto il rito abbreviato, ma in concorso di omicidio con Amanda e Raffaele. Dunque, se i due sono stati assolti, Rudy, che concorreva assieme a loro, non dovrebbe essere fuori anche lui? Meglio non addentrasi nella fitta ragnatela giudiziaria, in particolare in quella ingarbugliata italica. 
 
Quello che però balza alla mente è sicuramente il fatto per cui il 23enne della Costa d’Avorio, che ha sempre dichiarato di non aver ucciso Meredith seppur ammettendo di trovarsi in casa la sera dell’omicidio, abbia chiesto di percorrere immediatamente la strada giudiziaria più breve, che gli ha permesso di ottenere un considerevole sconto sulla pena. E’ parsa, quella del suo avvocato, quantomeno una scelta affrettata, a giudicare da come poi è andata a finire. O forse, e lo diciamo sommessamente, il ragazzo africano non aveva così tanti danari da pagare una qualsiasi Giulia Bongiorno, nè tanto meno un padre così benestante e telegenico come quello del Sollecito, sempre pronto a presenziare i salotti del prime-time, mostrando un fare sicuro e mai minimamente emozionato? O forse, chissà, sarà anche per il fatto che Guede non abbia scatenato la benchè minima reazione sull’opinione pubblica internazionale (neppure sarà arrivata la notizia in terra d’Africa, dove hanno altro a cui pensare), come invece è accaduto per la bella Amanda, per la quale tutti i media a stelle e strisce si sono immediatamente e tempestivamente mobilitati, facendo mobilitare a loro volta anche la diplomazia ufficiale della real-politique? Domande tanto scontate quanto la loro risposta, che non avremo mai. Anche perchè, dal carcere di Viterbo arrivano notizie rassicuranti, di Rudy descritto come un detenuto modello, desideroso di leggere e studiare e che mai è incappato in infrazioni disciplinari. E allora, a questo punto su Perugia può davvero calare il sipario.
 
L’immagine forse più emblematica della serata, al di là delle lacrime di Amanda e della freddezza dei Sollecito, con comizio conclusivo del padre (almeno ce lo auguriamo), ce la restituisce la folla di gente che assiepava l’esterno del tribunale milanese che, dopo la pronuncia di assoluzione, si è scagliata verbalmente e fragorosamente contro gli avvocati intenti a rilasciare interviste, alle grida di “Vergogna, vergogna”, ma anche “Bastardi!” “Venduti!”, neanche fossimo a San Siro. E anche qui, purtroppo, siamo riusciti a mostrare tutto il peggio che ci potesse contraddistinguere.
Mentre da oltre oceano si spingono addirittura con note ufficiali per informarci sulla loro contentezza ed apprezzamento per come si sia conclusa la vicenda, noi, dopo aver steso l’ultimo velo pietoso, preferiamo mandare i titoli di coda attraverso la chiara, silenziosa e dignitosissima dichiarazione della famiglia Kercher, che vogliamo fare nostra: “Rispettiamo la decisione dei giudici ma non comprendiamo come sia stato possibile modificare completamente la decisione di primo grado”. 
 
 
 
 

 

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